PREMESSA

La Regione Sardegna è un'entità gigantesca, che gestisce una moltitudine di ambiti di intervento e di capitoli di spesa. È anche un ente che legifera sul funzionamento degli enti locali in Sardegna, stabilisce le modalità di finanziamento degli enti e dei progetti, chiede rendicontazioni a tutti gli enti sotto-ordinati.

E ha un numero elevatissimo di dipendenti.

Ritengo che questa descrizione sia ampiamente condivisibile e non debba offendere nessuno; d'altra parte si fanno sempre più insistenti le proposte per uno snellimento della Regione in favore degli enti territoriali e maggiormente radicati nel territorio. In questo post avanzo una proposta, per certi versi di piccola portata, fornendo indicazioni tecniche su dati di fatto, per l'avvio di questo percorso. Ritengo che nonostante la piccola portata, la cosa avrebbe effetti simbolici e pratici rilevanti.

LA PROPOSTA

La presente proposta è formulata in modo diretto; i dettagli necessari a comprenderne la fattibilità vengono descritti sinteticamente nelle sezioni successive, nelle quali vengono specificate le motivazioni politiche, le ragioni tecniche e le modalità operative.

La proposta è dunque quella di destinare una parte della capacità assunzionale della Regione alle Unioni dei Comuni, che la riforma delle autonomie locali del 2016 ha messo al centro del sistema delle autonomie senza tuttavia dare alle stesse strumenti per la gestione dei servizi e delle funzioni assegnate.

Con un calcolo approssimativo, si può dire che le Unioni in Sardegna sono circa 40 e che il costo complessivo di un dipendente non supera gli € 35.000 (al lordo di oneri riflessi e altre imposte). Concedendo spazi assunzionali per circa € 70.000 a ciascuna Unione, sarebbero sufficienti 2.8 milioni di euro di capacità assunzionale (i cui costi economici potrebbero essere pagati dagli stessi enti, che dispongono di risorse ma non le possono utilizzare per il reclutamento del personale) per garantire a tutte le Unioni dei Comuni della Sardegna di assumere almeno due dipendenti nei profili professionali di categoria D. Due dipendenti sembrano pochi, ma in enti come le Unioni fanno la differenza che passa tra il nulla e il buon funzionamento.

PERCHÉ

I Comuni della Sardegna hanno grandi difficoltà a gestire i servizi assegnati o a organizzare le gestioni associate; quasi tutti avrebbero bisogno di più personale, più qualificato, meglio pagato e motivato. La Regione Sardegna non può oggettivamente soddisfare quel fabbisogno, ma può supportare i Comuni, sulla scorta di quanto previsto dalla Legge Regionale 2/2016, tramite le Unioni dei Comuni, attraverso la cessione di capacità assunzionale, al fine di gestire a livello sovracomunale i servizi strategici per il territorio (procedimenti legati alla programmazione territoriale) o che producono economie di scala (SUAPE e CUC). In passato la Regione Sardegna ha ceduto, al fine di gestire i progetti derivanti dalla programmazione territoriale, risorse economiche per assunzioni, ma non capacità assunzionale, tale da imporre ai Comuni di privarsi della propria per permettere le assunzioni, almeno a tempo parziale, nelle Unioni. Tuttavia, come detto, tale pratica è un sacrificio spesso impossibile da sostenere per i Comuni.

Questa, oltre a una certa motivata diffidenza da parte dei Sindaci, è la motivazione per cui l’ente Unione in Sardegna non funziona: non ha il nucleo minimo necessario di personale per funzionare.

Ritengo dunque che sarebbe un’azione politica in controtendenza, da parte della Giunta Regionale, quella di incentivare gli enti locali attraverso l’inserimento di una quota limitata di dipendenti presso le Unioni, ma in posizioni strategiche per migliorare il funzionamento dell’intero sistema delle autonomie. Nella prossima sezione elenco le motivazioni tecniche per cui ritengo che tale soluzione sia utile.

LE MOTIVAZIONI TECNICHE

La Regione Sardegna ha nel corso degli anni ceduto funzioni agli enti sotto-ordinati, non privandosi, tuttavia, di un presidio conclusivo sui provvedimenti finali. Attraverso le cessioni di funzioni, ha costantemente aggravato il lavoro dei dipendenti degli enti locali, contribuendo scarsamente all’incremento della dotazione organica.

Oltre alla cessione di funzioni, la Regione Sardegna pretende che gli enti rendicontino rispetto a tutti i finanziamenti gestiti, che si tratti di servizi sociali, di opere pubbliche o di servizi delegati.

Il funzionamento della macchina burocratica prevede dunque una serie di ridondanze procedurali che da un lato garantiscono un controllo della spendita delle risorse pubbliche, dall’altro rallentano il funzionamento amministrativo. È opinione condivisa che la bilancia propenda troppo sul lato dell’appesantimento burocratico; è necessario snellire le procedure e affidare maggiori responsabilità agli enti periferici.

È inevitabile dunque, che gli enti locali comincino ad operare autonomamente rispetto alla Regione. Per farlo occorre, tra le altre cose, rendere le Unioni dei Comuni gli enti di riferimento dei Comuni, quegli enti in cui si gestiscano pochi servizi, ma di grande specializzazione e/o generatori di economie di scala. Per tali ragioni si ritiene la proposta utile anche per l’ente Regione e per lo snellimento dello stesso.

COME

Tutti gli enti pubblici sono soggetti a dei limiti di spesa relativi al personale dipendente, nonché a dei limiti su nuove assunzioni, legati ormai alla conclusione del rapporto di lavoro dei dipendenti in servizio (le cosiddette cessazioni). Ciascun ente potrà dunque assumere nuovo personale solo a seguito di cessazioni. È possibile, tuttavia, che gli enti trasferiscano, cedano, capacità di spesa e di assunzione ad altri enti. La proposta di questo post, come detto, ipotizza che la Regione Sardegna si privi di propria capacità assunzionale, pari a un ammontare di 2.8 milioni di euro, cedendola alle Unioni dei Comuni.

Tale cessione potrebbe avvenire nel corso di un periodo triennale, secondo un’articolazione derivante da dimensioni, priorità, richieste da parte delle Unioni (su questa modalità non si entra nel merito nel presente post.

Il programma per il fabbisogno del personale della Regione Sardegna per il triennio 2018 – 2020 (Deliberazione della Giunta Regionale n. 36/9 del 17.07.2018) prevedeva una spesa per assunzioni pari a € 16.740.992,33, al netto delle assunzioni già avvenute nel 2018 entro il mese di luglio. La Regione, per poter assumere ex novo dipendenti per tale cifra, ha stanziato nel bilancio triennale lo stesso ammontare, che si accompagna alla capacità assunzionale.

Tralasciando in questa sede le possibilità di avanzo di capacità assunzionale in virtù di assunzioni effettuate attraverso modalità che non necessitano di utilizzo di capacità assunzionali (mobilità obbligatoria e volontaria nonché le stabilizzazioni così come disciplinate dal D.Lgs 75/2017, non necessitano di utilizzo di capacità assunzionale, bensì di sole risorse finanziare e spazi in termini di spesa del personale.), è possibile ipotizzare in ogni caso che il processo di snellimento della Regione inizi con minori assunzioni, e dunque una minore spesa. È possibile dunque ipotizzare che nel giro di tre anni la Regione sia in grado di cedere alle Unioni dei Comuni spazi assunzionali pari a 2.8 milioni di euro.

Per farlo basterebbe una Delibera di Giunta. Occorre solo la volontà politica.

Ci sarà una Giunta pronta a una tale inversione di tendenza? Personalmente me lo auguro.

 

Riccardo Scintu

Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.