È di questi giorni la notizia che dal 4 maggio prossimo possa iniziare la fase 2 a seguito della pandemia del coronavirus. Ci stiamo occupando e preoccupando, giustamente, dell'attuale situazione di distanziamento sociale, della difficoltà sociali ed economiche che stiamo vivendo, ma ritengo che una particolare attenzione dobbiamo porre, anche alla luce dell'esperienza e degli insegnamenti di questa terribile prova che stiamo cercando di superare, alle nuove scelte e problematiche che dovremo affrontare nel nostro futuro. Una delle questioni che sono emerse e che hanno, tra le altre cose, evidenziato la nostra impreparazione riguarda le nuove tecnologie.

In questo pezzo intendo porre tale questione, associandola al suo utilizzo nei nostri ambiti di vita quotidiana, nelle nostre Comunità urbane.

L'evoluzione dell'urbanistica ha accompagnato l'evoluzione umana, a livello politico, organizzativo e sociale. Una notevole accelerazione c'è stata a seguito del periodo della prima rivoluzione industriale, quando la popolazione si spostò dalle campagne alle città.

Oggi, che siamo nella quarta rivoluzione industriale, nell'intelligenza artificiale, nell'IoT (Internet delle cose), nella realtà aumentata, nella stampa digitale in 3D, nella globalizzazione e nell'accresciuto dominio e sviluppo della Tecnica, che da mezzo sta diventando sempre di più scopo in grado di produrre nuovi scopi e sta sviluppando una potenza mai conosciuta, in grado di controllare tutto, l'urbanistica è diventata l’insieme delle misure tecniche, amministrative, economiche, con i risvolti sociali e culturali che comportano, finalizzate al controllo e all’organizzazione dell’habitat urbano ed extraurbano: gli ambiti prevalenti di ricerca teorica e di applicazione pratica dell’urbanistica sono le analisi dei fenomeni urbani, la progettazione dello spazio fisico della città e del territorio, la partecipazione ai processi politici e amministrativi inerenti le trasformazioni del territorio. Nell'ultima delle accezioni citate l’urbanistica viene vista come uno specifico campo di relazioni sociopolitiche, in cui agiscono più soggetti, le forze politiche, gli amministratori locali, i tecnici, le rappresentanze sociali e sindacali, i mezzi di comunicazione di massa, i cittadini.

Anche alla luce del ripensamento del riordino degli Enti locali è molto interessante una nuova visione degli spazi urbani e delle funzioni che qualificano tali spazi così come illustrato nel Saggio “Ripensare le Smart City” di Francesca Bria (già Assessora, nel Comune di Barcellona, alle Tecnologie e alla Innovazione Digitale,attiva in progetti e ricerca nel think tank britannico Nesta, Senior Advisor delle Nazioni Unite per le città digitali e smart, Presidente del Fondo Nazionale Innovazione e, ora, collaboratrice con alcune Istituzione per la realizzazione in Italia di Smart City non Neoliberiste) e di Evgeny Morozov, sociologo, scrittore ed esperto dei nuovi Media.

Nel Saggio viene ribaltato il paradigma urbano, che, finora, ha visto il proliferare di proposte di progetti di Smart City privatizzate, in omaggio a quello che viene chiamato il “keynesianesimo privatizzato”, nel quale ci si preoccupa solamente di installare nuove tecnologie, funzionali solamente agli indicatori di maggiorefficienza, alla raccolta dei dati a scopo commerciale, alla profilazione dei cittadini e al “capitalismo della sorveglianza”. Secondo la Bria, “Prima ci sono gli spazi urbani, la gestione dei servizi pubblici, la democrazia partecipata e il potere dei cittadini rispetto alle Istituzioni. Occorre ripartire dal protagonismo politico delle Città, soprattutto oggi davanti alle sfide globali a causalità sistemica come i cambiamenti climatici, la povertà, le disuguaglianze, lo strapoteri dei nuovi Media, la gestione dei dati personali, i diritti dei cittadini, le migrazioni, la transizione energetica.” Io aggiungo, anche fenomeni globali come la pandemia, con le problematiche e gli effetti che oggi sono evidenti in tutti i settori, da prendere nella debita considerazione.

Le tecnologie devono essere al servizio dei cittadini, a maggior ragione nella “Società della Tecnica”: è una questione di Democrazia. In Sardegna questo discorso va recuperato riprendendo in considerazione i paradigmi delle “Città – Territorio” e delle “Città di Paesi”. Oggi, invece gli Stati – Nazione indietreggiano rispetto alle risposte sulla giustizia sociale e sulla solidarietà con proposte e progetti concreti per i cittadini.

È, quindi, questo il momento che siano le Città, comunque configurate e di qualunque dimensione, a diventare protagoniste di una nuova proposta politica, che individui una migliore qualità urbana, una adeguata qualità dell'aria, il tipo di transizione energetica e le sue modalità operative, la raccolta dei rifiuti, i cambiamenti climatici, il rapporto con le nuove tecnologie e il lavoro, le modalità con le quali le Città si rapportano in rete a queste problematiche: la prossimità delle città rispetto ai cittadini come “laboratorio del futuro”. Le tecnologie devono essere governate per fare in modo che siano realmente al servizio dei cittadini e ad essi diano più potere e non ne diventino un oggetto manipolato a vantaggio del potere delle Big Tech (le più grandi e dominanti aziende dell'informatica). Un idea di Smart City non tecnocratica e davvero intelligente al servizio dei cittadini, che significa un riprendersi gli spazi pubblici, una democrazia partecipata, una gestione dei servizi pubblici trasparente di prossimità ai cittadini, con l'obiettivo di una maggiore giustizia sociale e di un controllo dei cittadini in senso democratico delle nuove tecnologie.

Questo approccio nuovo alla Tecnica è indispensabile, perchè dice Evgeny Morozov “La nostra vita quotidiana è diventata un “campo di gioco” (il “palcoscenico”, di cui parla Rifkin), un “campo di guerra” pericoloso. La Rete può imporre l'anonimato, può cancellare i diritti umani e civili, che possono essere rimpiazzati dai diritti dei servizi digitali. Occorre trovare una soluzione politica per fare in modo che il potere non sia tutto in mano della Tecnica”. Oggi manca un dibattito pubblico adeguato sul pericolo che i nostri dati personali, grazie alle nuove tecnologie, vengano sfruttati a fine di business da poche privati per creare servizi personalizzati con la profilazione attraverso l'impronta digitale.

Le Big Tech hanno avuto campo libero e, quindi, hanno acquisito un potere enorme, hanno imposto lo sviluppo di Città e Comunità Smart su un modello neoliberista, con l'aiuto anche delle politiche di austerità. che hanno precluso alle Comunità di investire nelle infrastrutture pubbliche. Questo ha portato alla rottura del “Patto sociale”, che garantiva l'”accesso” a tutti i servizi dei cittadini, che, ingannati da molti servizi gratuiti, hanno fornito i propri dati e le proprie preferenze, sottovalutando e/o trascurando il pericolo di essere diventati “merce”, “prodotto” in un nuovo sistema di alienazione, favorendo, di fatto, una economia finanziata con i dati personali per un nuovo “Capitalismo della sorveglianza” e la possibilità di manipolazione delle campagne elettorali a fini politici da parte di gruppi di potere.

Per invertire questa tendenza la Bria, forte della sua esperienza a Barcellona, ma anche di esempi come quello di Amsterdam, Helsinki e tante altre realtà nel mondo, propone investimenti elevati sulle infrastrutture pubbliche per progettare e realizzare Smart City non neoliberiste al servizio dei cittadini, con l'assunzione di giovani di talento in grado di gestire tali tecnologie e con profilo adatto alla negoziazione con le Big Tech nell'ottica di uno sviluppo democratico delle Città.

Scrivono ancora Bria e Morozov “Il progresso tecnologico e lo sviluppo di nuovi modelli di business basati su piattaforme, dati, IA (Intelligenza Artificiale) e automazione avanzata stanno creando nuove tipologie di lavoro e, allo stesso tempo, ne stanno rendendo obsolete altre. Per far fronte a una trasformazione tanto gigantesca, diversi governi e alcune aziende tecnologiche stanno ripensando i sistemi occupazionali e di previdenza sociale, dichiarandosi a favore di un reddito minimo garantito come potenziale soluzione all'automazione estrema, alla disoccupazionee alla crisi del sistema previdenziale. Sebbene le tecnologie siano riuscite a garantire processi e prodotti migliori, più veloci e più economici, nonchè progressi nei campi delle scienze biologiche, delle IA, dei big data e via dicendo, possiamo facilmente osservare anche disuguaglianze sempre più marcate in termini di reddito, ricchezza e potere politico.”

L'attuale situazione sta creando l'esigenza di una diversa organizzazione del lavoro anche in termini di giorni/settimana e durata giornaliera di lavoro, anche per aumentare il livello di occupazione, un reddito minimo di base, erogato in varie forme, sono ormai questioni e uno strumento necessario per proteggere le persone che verosimilmente perderanno il lavoro a causa della globalizzazione e del progresso tecnologico.

Le piattaforme digitali come Uber, Lyft e Airbnb crescono a ritmi prima impensabili e stanno danneggiando interi settori dell'economia, eludendo in molti casi le normative pubbliche. Il futuro della Sharing Economy è cruciale per l’economia dell'Europa. Questo è vero, in particolare, per quanto riguarda il rapido processo di automazione di interi settori produttivi, in una situazione di profonda crisi dal punto di vista occupazionale.

La Gig Economy (Modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo senza contratto) ha molto contribuito all'automazione su larga scala e alla deregulation del mercato del lavoro, soprattutto, nelle città più grandi, ma il fenomeno sta diventando sempre più globale. Alcune Città sono state, quindi, portate a varare programmi sperimentali e pilota in molti ambiti, con l'introduzione del reddito minimo, nuovi programmi didattici per le Scuole finalizzati, per esempio, all’insegnamento delle materie STEAM (Technology, Art, Engineering, , Mathematics, Science) e della manifattura digitale.

Molte Città progettano di regolamentare le imprese della Sharing Eeconomy, le cui pratiche anticoncorrenziali tendono ad aggirare le norme locali, richiedono miglioramenti delle norme, per esempio, che riguardano la fornitura di Wi-Fi gratuito, pubblico e di alta qualità e l'am pliamento della copertura di tale servizio a livello comunale. Inoltre, sono favorevoli alla implementazione di network di telecomunicazione aperti, gratuiti e neutrali per avere connettività all’interno di aree e di comunità carenti dal punto di vista infrastrutturale. Ampliare le infrastrutture della banda larga e consentire tariffe di accesso convenienti alle fasce a basso reddito è un passo fondamentale per colmare il digital divide, che è tema di giustizia sociale.

Sta prendendo piede il modello delle reti IP (Internet Protocol) di proprietà delle Comunità locali, come Guifi.net (Catalogna, Spagna), FunkFeuer (Vienna, Austria) e AWMN (Atene, Grecia), le quali, in rete, sono più flessibili ed efficienti. Nel saggio della Bria e di Morozov è scritto che “Queste reti sono estremamente dinamiche, diversificate e uniscono con successo differenti tecnologie sia wireless sia cablate (fibra ottica) e tipologie di routing sia statico sia ad hoc. Attraverso l’iniziativa Guifi.net, probabilmente la più degna di nota, è stato realizzato un “Network Comunitario di telecomunicazioni aperto”, libero e neutrale che è stato inaugurato in Catalogna nel 2004 e, a oggi, conta quasi ventimila nodi funzionanti, la maggior parte dei quali connessi a un network principale ubicato sempre in Catalogna.”

L’accesso e il controllo dei dati è una risorsa strategica per le Città. Ci sono, però, molteplici problemi, per esempio, quelli relativi alla proprietà, al controllo e alla gestione dei dati personali. L’attuale sistema digitale, nel contesto dell’IoT, è altamente frammentato e presenta una moltitudine di soluzioni di operatori privati non interoperabili. Ognuna di queste ha un proprio assortimento di dispositivi, standard, piattaforme e strumenti di gestione dati e questa frammentazione rende ingestibile la totalità dei dati, con l’utente finale impossibilitato a controllarli. Questa situazione favorisce una concentrazione del mercato, da evitare, verso modelli monopolistici e oligopolistici, soprattutto, per quanto riguarda il controllo dei dati e delle infrastrutture.

Al riguardo nel Saggio di Bria e Morozov viene suggerito alle Città di progettare nuove strategie economiche, legali e di governance, nonché nuovi standard comuni che favoriscano la cooperazione dei singoli in termini di contributo ai “beni comuni digitali”, compresi quelli riguardanti i dati personali (Data Commons). Degno di nota è il progetto DSI (Digital Social Innovation) dell’Unione Europea (digitalsocial.eu), per il quale “l’innovazione digitale Sociale è una forma di innovazione cooperativa in cui innovatori, utenti e Comunità collaborano nell’utilizzare tecnologie digitali allo scopo di generare conoscenza e soluzioni per un ampio raggio di necessità sociali e su una scala che prima di internet era inimmaginabile.”

La partecipazione digitale e gli strumenti di coinvolgimento della cittadinanza nelle decisioni politiche portano nuovi scenari per l’innovazione democratica e, conseguentemente, un suo rafforzamento: molte Città sviluppano nuovi modelli organizzativi di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, innovando al contempo le procedure e i meccanismi partecipativi. Nascono nuovi modelli ibridi, che combinano “Democrazia diretta” e “Democrazia rappresentativa”, interazioni online e offline e formati vecchi con nuovi.

La “Società digitale” deve essere costruita insieme con i suoi cittadini, per evitare anche il “dominio” incontrastato della Tecnica. Dice al riguardo la Bria “I movimenti giovanili di tutto il mondo si riconoscono nella natura bottom-up delle reti digitali, chiedono un’assunzione di responsabilità e la fine della corruzione istituzionale. In questo contesto si apre uno spazio che le nuove politiche del XXI secolo potranno riempire per andare incontro a fasce di età molto più giovani.”

Le città stanno creando nuove piattaforme di collaborazione, per rispondere a quesiti fondamentali sulla struttura di nuove istituzioni democratiche più adatte alla democrazia di nuova generazione: aperte, sperimentali e capaci di intercettare l’intelligenza collettiva dei cittadini,di creare spazi di dibattito, gruppi di lavoro e conferenze che indaghino la relazione tra tecnologia, democrazia e sovranità.

Mettendo la cittadinanza al centro del processo, i Comuni possono aumentare la propria “sovranità digitale” e assicurare ai cittadini un pieno utilizzo delle loro libertà e dei loro diritti digitali, compreso quello della protezione dei dati, della privacy e all’autodeterminazione dell’informazione.

Per superare il programma politico delle Smart City basato sul modello neoliberista e pseudodemocratico e per mettere in campo proposte alternative pubbliche e democratiche c'è bisogno di alleanze tra le Città, i movimenti sociali e le organizzazioni politiche progressiste, di nuove politiche tecnologiche, ambiziose e di lungo respiro, accompagnate da forti investimenti pubblici nelle infrastrutture critiche del futuro (per esempio, Dati e IA) e nuovi sistemi di welfare incentrati sul bene comune.

Come scrive la Bria “L'attuale paradigma predatorio non è l'unica soluzione. Le forme alternative di proprietà pubblica di piattaforme e servizi basati su algoritmi ad alto impiego di dati aiuteranno a creare un'economia più democratica e cooperativa, capace di fornire nuovi diritti a lavoratori e cittadini e superando la logica della speculazione, del profitto e del risultato a breve termine.”

Un tema così complesso e così denso di conseguenze sul piano sociale, economico e culturale, in particolare in questo periodo di socializzazione sospesa, merita uno spazio ampio e occorre trovare tutte le occasioni possibili per aprire una discussione serena e ragionata, con l'obiettivo di portare questi sviluppi nelle nostre realtà urbane e nelle nostre “Città di Paesi”.

L'uscita dalle situazioni di crisi nella storia hanno spesso visto soffiare venti di burrasca (qualche forte spiffero si sente anche oggi in Europa), hanno spesso portato a domanda di poteri forti e autoritari. L'ottimismo di tanti che credono di uscire in positivo da questa buriana del coronavirus va bene, ma occorre tenere gli occhi bene aperti e le antenne ben sintonizzate sui rischi che può correre la nostra democrazia, momentaneamente sospesa per difenderci dal virus.

L'infrastrutturazione digitale delle nostre città può essere un'opportunità, ci potrà rendere sempre “connessi”, ma ci può, come ha detto Stefano Massini a Piazza pulita nel commemorare Luis Sepulveda, morto di coronavirus, togliere la libertà e limitare la privacy se le piattaforme digitali saranno solo in mano alle Big tech.

La Regione Sardegna dovrà avere un ruolo centrale nello scongiurare quest'ultima possibilità. Anche noi, nel nostro territorio e nella nostra Oristano dovremo iniziare a pensare a infrastrutture digitali pubbliche, anche perchè scelte di questo tipo in futuro ci consentiranno di essere meno impreparati di fronte a fenomeni come quello attuale della pandemia da coronavirus e, nella nostra quotidianità, di essere cittadini attivi a tutto tondo, attori principali del nostro destino.