Una delle regole fondamentali della democrazia è accettare il risultato elettorale. Uno dei principi cardine della maturità politica, è prendere atto del fatto che su un certo esito si debba riflettere, mettendosi in discussione e reagendo con un atteggiamento positivo e propositivo, abbandonando la tentazione di possibili piagnistei.

Il ricorso post elettorale è un diritto ma, onestamente, mi ha sempre lasciata molto perplessa. Credo sia un'azione capace di dare più la misura della forza di attaccamento alla poltrona, che quella di un desiderio di difesa della democrazia.

In un seggio, il Presidente non esegue lo spoglio da solo. C'è dietro una squadra con la quale si consulta e sono presenti dei rappresentanti di lista – peraltro scelti anche dagli stessi che poi lamentano imprecisioni – che garantiscono la regolare assegnazione dei voti e il loro giusto conteggio. C'è un pubblico che assiste e, spesso, sono sul posto gli stessi candidati che girano tra le varie sezioni. Insinuare, seppur in modo indiretto, che siano tutti dei minus habentes, mi pare un po’ azzardato.

Se ci sono delle contestazioni da fare, si fanno durante le operazioni di scrutinio che, attraverso una serie di tutele, consentono un'attribuzione dei voti seria e certa.

Posso comprendere un ricontrollo delle schede solo quando si siano verificate palesi irregolarità o quando un candidato resti deluso perché sentiva di avere la vittoria garantita, fino al punto di avvertire il forte sospetto che debbano esserci stati per forza dei brogli che ne giustifichino la sconfitta. In questo secondo caso però, forse il rischio di irregolarità precedeva la votazione ed è preferibile non sapere.

Comunque sia, una volta chiusi i seggi, il perdente ha l’obbligo di congratularsi con il vincitore e di fare in modo che la macchina amministrativa possa partire, iniziando a lavorare. Questo fanno gli amanti della politica, del bene dei propri concittadini e non delle poltrone.

Tra l’altro non riesco proprio a capire perché non si debba conferire il giusto valore all’essere minoranza. Non lo trovo corretto. Una sfida tra candidati non è una partita di calcio. Vincere o perdere una competizione elettorale è una questione “formale”.

L’opposizione dai banchi della minoranza è connotata da una forte dignità democratica e deve essere rispettata. Se c’è progettualità, si hanno visioni ampie e se si rispetta il ruolo con serietà e coscienza, si ha l’opportunità di rappresentare quella parte di cittadini che dissente dalle scelte della maggioranza e avverte la necessità di un’alternativa che porti avanti le proprie istanze, dandogli voce. Un compito molto delicato e sicuramente non di scarsa rilevanza.

Certo, chi non è presente tra le fila di chi detiene il potere decisionale fa più fatica ma, in una democrazia rappresentativa, non potrà mai essere del tutto assente e ininfluente.

In politica, a una contrapposizione tra “vittorioso” e “perdente”, si affianca sempre e comunque un principio di sana collaborazione tra le parti, finalizzato al raggiungimento del bene comune, che non deve essere mai disatteso.

Elisa Dettori