In Italia è un coro unanime: diamo all’UE più di quanto riceviamo.

Vale quindi la pena di approfondire queste affermazioni per capire come viene finanziato il bilancio europeo e quanto versano e ricevono i singoli paesi dell’Unione.

I contributi finanziari degli Stati membri al bilancio dell’UE vengono ripartiti equamente, in base alle rispettive possibilità: più grande l'economia del paese, maggiore il suo contributo, e viceversa.

È giusto questo criterio? È difficile negarlo perché oggettivo, uguale per tutti ed ispirato al criterio della solidarietà.

Ne discende che le maggiori economie europee sono quelle che contribuiscono maggiormente al Bilancio europeo. L’Italia non è, quindi, il solo paese a dare più di quanto riceve.

Prendendo a riferimento il 2015, undici dei 28 membri del blocco europeo erano contribuenti netti al bilancio: Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Olanda, Austria, Finlandia, Svezia, Lussemburgo, Danimarca, Cipro.

Più in particolare, ecco quanto danno e ricevono alcuni paesi contributori netti dell’UE secondo l'analisi dell'ultimo budget pubblicato (2015) della Comunità Europea. (in milioni di euro)

Germania

24.283,4

11.013

-13.270,1

Francia

19.012,5

14.468

-4.544,1

Italia

14.231,6

12.338

-1.893,1

Regno Unito

18.209,4

7.458

-10.751,8

Paesi Bassi

5.759,2

2.359

-3.400

Svezia

3.513,3

1.468

-2.045,6

 

I principali donatori in termini assoluti sono Germania (24.283,4 milioni di Euro), Francia (19.012,5.) e Italia (14.231,6 ), mentre il Regno Unito, oggi uscito dalla Comunità, contribuiva con 18.209,4 A queste quattro nazioni seguono Paesi Bassi (5.759,2 ml), Svezia (3.513,3 ml).

Gli stessi Stati che primeggiano nella classifica dei contributori sono quelli che in proporzione ricevono meno fondi comunitari. La Germania è la nazione che ha un saldo negativo più accentuato: -13.270,1 milioni di Euro. Il Regno Unito era al secondo posto, con un passivo di 10.751,8 milioni € seguito dalla Francia (-4.544,1 milioni). L’Italia, con un saldo negativo di 1.893,1 milioni di Euro, si pone dopo Paesi meno popolosi come i Paesi Bassi (-3.400 milioni €) e la Svezia (-2.045,6 milioni €).

I 17 paesi che hanno invece un saldo attivo sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria.

Di seguito la situazione precisa di alcuni di questi paesi.

 

Polonia

3.718,0

13.357,4

+9.639,4

 

Belgio

3.691,9

7.333

+3.641,1

 

Spagna

8.772,5

3.849,3

+4.923,2

 

Grecia

1.205,6

6.209,7

+5.004,1

 

Romania

1.374

7.360

+5.218,6

 

Ungheria

924

6.531,9

+4.683,3

 

Slovacchia

550

3.676

+3.126,9

 

Repubblica Ceca

1.330

4.392

+3.062

 

Bulgaria

330

2.635,4

+2.305,4

 

 

Chi, nel 2015, ha ricevuto più fondi europei rispetto al contributo dato sono gli stati dell’Est Europa: la Polonia con 13.357,4 milioni di Euro acquisiti (a fronte di un contributo di 3.718,0 milioni €) è il Paese che più ha guadagnato dai fondi Europei.

La Grecia, con 6.209,7 milioni di Euro ricevuti contro i 1.205,6 milioni di contributo, ha un saldo attivo di 5004,1 milioni € e questo, almeno in parte spiega il motivo per cui Atene, dopo tante rimostranze e minacce, non è mai uscita dall’Europa. Seguono la Romania (5.218,6 milioni € di saldo attivo), la Spagna (+4.923,2 milioni), l’Ungheria (+4.683,3 milioni), Slovacchia (+3.126,9 milioni), Repubblica Ceca (+3.062 milioni) e Bulgaria(+2.305,4 milioni).

Da notare che questi Stati sono anche quelli i cui governi si oppongono con maggiore veemenza alle politiche europee sui rifugiati (in particolare (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria) e sulla protezione ambientale.

Logica vorrebbe che i paesi che più usufruiscono della solidarietà degli altri paesi europei, fossero disponibili ad esserlo, a loro volta, verso i paesi donatori e verso gli immigrati e che, in caso contrario, fossero penalizzati nei trasferimenti monetari.

Logica vorrebbe ancora che l’Italia, particolarmente esposta nell’affrontare il dramma dell’immigrazione, attaccasse frontalmente questi paesi invece di allearsi con loro.

Se, per i paesi che ricevono di più, i benefici sono evidenti, meno noti sono i vantaggi anche per che versa di più.

È sbagliato calcolare i benefici dell’appartenenza all’Europa solo sulla base del rapporto dare/avere.

I vantaggi di essere all’interno della Comunità Europea si devono quantificare anche con gli introiti che gli stati ricevono oltre agli apporti finanziari diretti provenienti da Bruxelles.

L’abbattimento dei dazi doganali, la facilità di viaggiare all’interno degli stati della Comunità, la velocità di trasferimenti di persone e di merci, l’assenza di frontiere e di cambi monetari all’interno dell’area Euro, gli interventi collettivi da parte degli stati per progetti di ricerca apportano alle casse di ogni stato milioni o miliardi di euro (a secondo del PIL nazionale) che non sono conteggiati come apporti diretti comunitari, ma che sono frutto delle politiche comunitarie.

Conviene anche per i benefici che comporta la partecipazione al mercato unico. E' quanto emerge incrociando i dati della Commissione Ue e dell'Ifo Insti tute.

“I benefici derivanti dalla stabilità, dalla pace, dai valori comuni, dalla parità di condizioni nel mercato unico europeo o da una capacità negoziale che rivaleggia con le maggiori potenze mondiali, non si manifestano nei calcoli del saldo netto. Ad esempio, il mercato unico ha un impatto positivo significativo e diretto sull'occupazione e la crescita. Permette alle aziende di operare in modo più efficiente, crea lavoro e offre prezzi più bassi per i consumatori. Dà alle persone la libertà di vivere, studiare e lavorare dove vogliono”.

I ricercatori dell'Ifo Institute hanno dato un “valore” a questi benefici, scoprendo che più si “investe” nell'Ue, più si guadagna. Vale per la Germania, che incassa 118 miliardi dal mercato unico, la Francia ne incassa 62, il Regno Unito 55, l'Olanda 45 miliardi, l'Italia si piazza al quinto posto per benefici: 40 miliardi circa all'anno, seguito dal Belgio 30.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.