Nel Post, indirizzato alla riflessione valutativa anche di coloro che hanno appoggiato Lega e M5S, si analizzano alcuni aspetti di contesto e la scarsa chiarezza verso elettori e cittadini su alcune linee programmatiche enfatizzate, come di consueto, dagli esponenti dell’attuale Governo.

Valuteremo la differenza tra quanto promesso e quanto proposto, nonché il grado di rischio e di equità degli intereventi stessi. In questo contesto non è quindi nostro obiettivo l’analisi sulle possibili alternative di politica economica; bensì la distanza tra il dire ed il fare, il grado di equità sociale nell’articolazione dei provvedimenti, nonché il rischio del contesto in cui si opera e l’apparente sottovalutazione di questo rischio.

Il contesto prospettico –

Sarebbe stato utile ed opportuno, al momento dell’elaborazione delle promesse, del “contratto” e delle scelte di intervento, una riflessione sul contesto macroeconomico presente e futuro nel quale le azioni andranno a collocarsi. Diceva Luigi Einaudi “conoscere per deliberare”.

Una riflessione al riguardo avrebbe permesso di considerare come – in conseguenza della crisi economico-finanziaria – l’Eurozona sia stata interessata da una politica monetaria operata dalla BCE – Banca Centrale Europea, storicamente forse unica ( e difficilmente ripetibile con queste caratteristiche ). Ci riferiamo all’operazione di Qe – Quantitative easing ( acquisto di titoli di debito degli Stati ed altre obbligazioni ), attraverso cui sono state immesse ingenti masse di liquidità nel sistema europeo; caratterizzatasi addirittura da tassi negativi, con restituzione quindi inferiore ai capitali prestati.

L’eccezionalità favorevole dell’intervento avrebbe dovuto essere sfruttato e considerato, dall’attuale compagine di Governo, utile ad assecondare un complesso di politiche che fossero anche funzionali, secondo la saggezza contadina, a “mettere fieno in cascina”.

Questo intervento della BCE termina infatti a fine dicembre p.v.: successivamente la BCE effettuerà solamente acquisti corrispondenti ai titoli dello stock in portafoglio che andranno via via in scadenza. Ora è evidente che l’eccezionale politica di tassi negativi termina, per rientrare nella normalità: cioè quella che prevede che il capitale prestato debba produrre un rendimento e, quindi – tenuto conto che l’inflazione tendenziale si sta attestando intorno al 2%, che costituiva l’obiettivo dell’intervento del Qe – è realistico pensare che i tassi saranno spinti ad un livello almeno pari all’inflazione.

I rischi per l’Italia – in questo contesto non direi che le scelte adottate siano ispirate da “fieno in cascina” ed i rischi siano almeno due:

1 – l’allarmismo creato dalle continue, inappropriate uscite del duo Salvini – Di Maio ha avuto come unico risultato l’aumento dello “spread” che ha innalzato, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in altro Post, il costo per interessi del debito pubblico, con conseguenze di rincaro a cascata sulle tasche dei Cittadini ( qualcuno ha già sottolineato come la sua rata di mutuo a T.V. sia passato da 530 a 617 euro – “IL Venerd씝 del 5/10/2018 ). Ne consegue che se i tassi verranno spinti ad un livello almeno pari all’inflazione, e questo anche se è incerto quando è certo che avverrà, innalzerà ancora ulteriormente il costo per il servizio di interessi sul debito pubblico, sottraendo ulteriori ed ingenti risorse alle scelte di politica economica ( non è affatto irragionevole la stima che è stata fatta di 13 miliardi circa, aggiuntivi ai 68 miliardi annui che è il dato del 2017 di Bankitalia ) ;

2 – premetto che a nostro giudizio l’Europa dovrebbe realizzare la costituzione di un Organismo pubblico autonomo di rating europeo, che non abbia la negatività connessa al potenziale conflitto di interessi insito nei soggetti che oggi partecipano al capitale delle attuali società di rating. Ciò premesso, piaccia o non piaccia, non si può prescindere al momento dalla valutazione delle società di rating sull’Italia e sul suo debito.

Questo per una ragione specifica: ove il rating fosse al di sotto di certi livelli ( cui ci stiamo rapidamente avvicinando ) la BCE ha un obbligo giuridico, ex Statuto, che gli impedirebbe di acquistare titoli di debito dello Stato. Ne consegue che l’operazione di riacquisto dei titoli in scadenza sarebbe statutariamente impedito.

Domanda – questi aspetti sono stati considerati dal Governo nell’elaborare la cornice del DEF – Documento di Economia e Finanza? Oppure dobbiamo pensare ad una piena consapevolezza, utilizzata strumentalmente come “cavallo di Troia” per ben altri, tragici secondi fini?

Sistema pensionistico: Quota 100 –

La roboante promessa di Salvini, secondo cui nel primo Consiglio dei Ministri si sarebbe abolita la “Legge Fornero” è ancora, come è evidente, di là da venire. Costituisce un’altra promessa mancata.

Si va ad un intervento di modifica attraverso un meccanismo definito: Quota 100, cioè 38 anni di contribuzione e 62 anni di età. Obiettivo collaterale sarebbe anche quello di mandare in pensione anticipata circa 400.000 italiani e creare, come sostiene enfaticamente il Ministro, altrettanti posti di lavoro.

“In cauda venenum” dicevano i Romani: il veleno è nella coda, cioè per traslato nei dettagli. Infatti:

Equità e chiarezza – intanto bisognerebbe avere un atteggiamento improntato ad equità e chiarezza, non raccontando i fatti per slogan ma specificando:

1 – che quota 100 ha un solo caso applicabile, quello appunto di 62 anni di età e 38 anni di contribuzione. Poiché infatti i dati 38 e 62 sono entrambi minimi fissi, in realtà esisteranno, e va detto in modo chiaro a trasparente, quota 101 ( 63+38 ); 102 ( 64+38); 103 ( 65+38 ); 104 ( 66+38 ) per arrivare all’età legale di pensionamento: 67 anni dal 2019;

2 – la liberazione di ipotetici 400.000 posti di lavoro non significa affatto che si creeranno, per decreto, altrettanti nuovi occupati. Il Ministro non può affermarlo e venderlo come un fatto certo: è un auspicio, una possibilità. Nessuno sa quale sarà la risposta delle imprese nella combinazione capitale/lavoro e quale tasso di sostituzione sarà adottato nella combinazione da ciascuna impresa e quale sarà, quindi, il risultato finale.

Non si può vendere un parallelismo inesistente, l’onestà delle parole dovrebbe avere una sua rilevanza guidata da onestà intellettuale.

Rischi – i miliardi stanziati per “Quota 100″, 7 miliardi, consentirebbe di avviare il processo ma nulla viene previsto per le coperture degli anni successivi che dal sesto anno in poi, con il meccanismo a regime, stimano un fabbisogno di 15 – 16 miliardi. Sarà problema di qualcun altro visto che la legislatura sarà finita?

Un altro rischio è legato all’incidenza contributiva, come infatti sottolinea il ” cattivo” Boeri, che valuta la scelta pericolosa ed iniqua: ci vogliono infatti i contributi degli stipendi di due giovani per pagare una pensione. Cosa facciamo? Dichiariamo per decreto che saranno assunti 800.000 giovani ed avremo così risolto il problema?

Ires sugli utili reinvestiti –

Come noto la flat tax Ires già esiste ed è stata abbassata dal precedente Governo di centrosinistra al 24%. L’intervento programmato dal Governo prevede ora un’Ires al 15% sugli utili reinvestiti.

Per quanto possano valere le nostre valutazioni, si tratta di una misura validamente assunta nella giusta direzione.

Flat tax onnicomprensiva per le Partite IVA –

L’intervento programmato, applicabile a circa 1,5 milioni di Partite IVA ( cioè lavoratori autonomi: liberi professionisti ma anche commercianti e ristoratori ) prevede una tassa onnicomprensiva ( di Irpef, Irap e Iva ) al 15% per redditi sino a 65.000 euro.

Equità e rischi – si tratta di una misura che intanto, altra promessa mancata, non è flat tax per il mondo produttivo ma limitato alla sola platea dei “lavoratori autonomi”.

In secondo luogo crea, sotto il profilo dell’equità, una discriminazione assai significativa con il lavoratori dipendenti. Bastino questi tre esempi:

° Reddito 65.000 euro ( lavoratore dipendente, tassazione 32,8% = 21.320 euro – lavoratore autonomo, tassazione 15% = 9.750 euro );

° Reddito 45.000 euro ( lavoratore dipendente, tassazione 29,8% = 13.420 euro – lavoratore autonomo, tassazione 15% = 6.750 euro );

° Reddito 30.000 euro ( lavoratore dipendente, tassazione 25,7% = 7.720 euro – lavoratore autonomo, tassazione 15% = 4.500 euro ).

Qualcuno della compagine governativa vorrebbe giustificare questa significativa discriminazione con il fatto che i lavoratori autonomi producono PIL. Questo vorrebbe significare che l’ingegnere professionista dipendente non produce PIL attraverso l’azienda in cui lavora?

Lasciamo la valutazione di equità al giudizio del lettore.

Questo intervento trova critiche anche da parte degli stessi beneficiari, per i rischi insiti. Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ha infatti diffuso uno studio che sottolinea come il “regime dei contributi minimi” è già stato istituito dai precedenti Governi di centrosinistra ma con tetti variabili: 30.000 euro per liberi professionisti e 50.000 euro per il commercio all’ingrosso e al dettaglio.

L’unificazione a 65.000 euro viene giudicata rischiosa perché, correlata ai vincoli previsti, può alimentare l’evasione fiscale, frammentare gli Studi Associati, ridurre l’occupazione. I vincoli del nuovo regime che si vuole introdurre caratterizzano una logica che spinge al “nanismo”: non bisogna infatti avere dipendenti che costino più di 5.000 euro l’anno ( cioè stipendi a livelli da fame ); beni strumentali per un valore non superiore a 20.000 euro; non si può essere soci di società e associazioni professionali.

Lascio la valutazione complessiva al giudizio del lettore, limitandomi a sottolineare quanto essenziale sia entrare sempre nel dettaglio per comprendere la logica complessiva.

Reddito di cittadinanza e Pensioni di cittadinanza –

Occorre prioritariamente sottolineare come la megalomania di Di Maio, che appare ogni giorno più ricca di slogan ( quasi che il governo del Paese possa praticarsi attraverso parole autoavverantesi ) abbia dimenticato nella sua “Manovra del Popolo” i Giovani ( 29,5% di giovani tra i 20 – 34 anni, record europeo, che non studiano, lavorano o si formano ). Meglio, dopo aver accusato i “pessimi” governi di centrosinistra che hanno rovinato l’Italia, si avvale dei due programmi del Governo Gentiloni “Garanzia giovani” e “Bonus Sud”: il primo con un fondo di 1,5 miliardi che prevede un bonus sconto totale dei contributi per un anno alle imprese che assumano under 29. Il secondo che si avvale del programma UE Pon Spao ( Ah! l’Europa matrigna ) che va molto bene ma che è agli sgoccioli quanto a finanziamenti. Che fine farà?

E veniamo allo stanziamento di 10 miliardi attraverso cui Di Maio dichiara “Abbiamo abolito la povertà“: quintessenza della megalomania verbale.

Lasciamo da parte in questa sede la “pensione di cittadinanza”, cioè l’integrazione del minimo dei 540 euro, perché le informazioni sono del tutto insufficienti per capirne il meccanismo, ma che comunque gravano sullo stanziamento citato. Di questo 1 miliardo è destinato alla modifica, assai ostica, dei centri per l’impiego, tenuto conto che dovrà concordarla con le Regioni. Nei 9 miliardi residui sono peraltro ricompresi anche i 2 miliardi del REI stanziati dal Governo Gentiloni.

Intanto ancora una volta sarebbe opportuno che il Governo smettesse per chiarezza di vendere ciò che non è: il Reddito di cittadinanza è cosa concettualmente e tecnicamente diversa da ciò che vende il Governo. Questo non diversamente dal REI è Reddito di inclusione “condizionato”: e a quali condizioni!!

Tutte le stime che sono state fatte concludono che i 780 euro sono un puro miraggio e che non si potrà andare oltre un potenziamento del REI, così come avevamo già ipotizzato tempo fa in un nostro Post ( qualcuno si ricorda che il disegno di legge n. 1148 del M5S è stato venduto, con i suoi 780 euro, come già interamente coperto per quanto riguardava le risorse e anche con la “bollinatura” della Ragioneria Generale ) Ah! i soldi fantasma e le promesse al vento.

Ma, ancora una volta “in cauda venenum”, il veleno è nei dettagli delle condizioni e vincoli, che danno peraltro la misura della concezione del M5S rispetto alla cittadinanza meno abbiente.

Meglio di noi scrive la sociologa Chiara Saraceno “»Non verrà concesso in moneta liquida, ma su una carta di debito. Potrà essere speso solo sul suolo italiano».in esercizi italiani [??] e possibilmente per prodotti italiani [ controllo autarchico?].Non potrà assolutamente essere speso per consumi voluttuari [ definiti da apposita commissione??] e nemmeno risparmiato. Ciò che non si spende della somma mensile assegnata verrà perso»Dietro questo approccio c’è l’antica idea che i poveri siano inaffidabili, moralmente deboli. Lasciati a se stessi, invece di comprare latte e scarpe per i bambini e pagare l’affitto, si darebbero al bere e al gioco d’azzardo o alle spese pazze.

Vanno messi sotto tutela. Riceveranno reddito in cambio di cessione di cittadinanza»Anche impedire di risparmiare in vista di spese future»contrasta con l’obiettivo di aiutare le persone e le famiglie a gestire il proprio bilancio, a programmare, quindi anche a risparmiare. Così si trasformano i poveri non in cittadini, ma i consumatori forzati sotto tutela” ( Una certa idea di povertà da “La Repubblica” ).

Che dire di più e meglio sulla concezione governativa del M5S e del Governo più in generale verso i meno abbienti, i disagiati e i poveri? Le condizioni previste parlano da sole.

Gianni Pernarella

Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.