In questo Post affronterò due aspetti:

° l’atteggiamento di partenza del Governo in particolare verso l’Europa, i mercati ed il successivo punto di arrivo;

° le risultanze principali nel cambiamento della legge di bilancio: gli aggravi, i rischi e le prospettive aleatorie che ne scaturiscono.

In un successivo Post proverò invece ad entrare nel merito del secondo punto, saggiandone l’effettiva realizzabilità rispetto alle promesse e le misure utilizzate per finanziarle.

1 – Partenza ed arrivo del Governo a fronte del rischio della “Procedura d’infrazione” da parte dell’Europa

L’esordio, che personalmente valuto profondamente permeato da caratteristiche di incompetenza ed arroganza di cui Salvini e Di Maio mostrano di essere forniti in abbondanza, ha visto i due leader, alla partenza del governo giallo – verde, dimentichi sia della posizione dell’Italia in Europa sia dello stato economico – finanziario del Paese: in particolare del suo enorme debito pubblico e del relativo costo per interessi per il servizio del debito che – ancorché abbassatosi nel corso degli anni dal livello di 84 miliardi vuoi per la politica monetaria adottata dalla BCE – Banca Centrale Europea vuoi per le politiche dei precedenti governi – continua a sommare a fine 2017 68 miliardi all’anno.

L’ossessione per le due misure bandiera: Quota 100, che enfaticamente avrebbe dovuto aprire all’abolizione della legge Fornero, che resta viva e vegeta, ed il Reddito di Cittadinanza, impropria dicitura che avrebbe dovuto abolire in Italia la povertà e la ricerca affannosa per ramazzare le inesistenti risorse finanziarie, li ha condotti:

a – a contrastare l’ipotesi praticabile, concordata con l’Europa dal ministro Tria, di attestarsi su un rapporto Deficit/Pil all’1,6% operando le scelte in questo quadro;

b – ignorare le regole, i mercati, lo stato economico-finanziario del Paese ed in una ubriacatura da incompetenti decidere di recuperare risorse aumentando a ” go go ” il debito, portando la previsione del Deficit/Pil al 2,4%; scioccamente convinti di essere dentro una bolla al di fuori della quale tutti i soggetti e le istituzioni ” se ne sarebbero fatti una ragione”.

Gli effetti – in realtà la bolla è scoppiata in faccia ai due leader, prima con un immediato aumento dello “spread” ( cioè il differenziale tra il BTP italiano a 10 anni ed il corrispondente Bund tedesco, che misura nei fatti il “rischio paese” insito nell’acquisto ) che si è impennato, dai 113 punti del governo Gentiloni, ad oltre 300 punti e che, sia pure abbassatosi successivamente, viaggia comunque stabilmente intorno ai 250 punti.

Questo inutile sacrificio, frutto dell’atteggiamento di sciocca baldanza, è costato: 730 milioni per il 2018 e 3 miliardi circa messi in conto stabilmente per il futuro.

Sono risorse che mentre aumentano il costo annuo per interessi per il servizio del debito, portandolo dai 68 miliardi a circa 72, sono altresì sottratte alle scelte di politica economica e, quindi, non utilizzabili per interventi socio economici.

Questo non è stato il solo prezzo pagato dal Paese dall’arrogante atteggiamento sprezzante verso l’Europa ed i mercati. Dall’esordio del governo giallo – verde la ricchezza del Paese si è ridotta di 89 miliardi per minusvalenze subite nei mercati da azioni, obbligazioni, titoli di Stato ( BTP ).

Va peraltro sottolineato che questi iniziali effetti negativi si sono moltiplicati, generandone altri sia per le banche sia per le imprese sia per i consumatori:

° Banche – oltre a subire minusvalenze “potenziali” di Borsa sul capitale, l’aumento dello spread ha generato una decurtazione della quotazione dei BTP detenuti nel portafoglio delle banche stesse che, in base alle regole, devono contabilizzare queste perdite. La riduzione complessiva del patrimonio genera – per l’esistenza di correlazione tra patrimonio e prestiti erogabili – conseguenti problematiche nell’erogazione dei crediti ( con possibili restrizione del credito ), da un lato, e, dall’altro lato, un aumento dei tassi sui prestiti per il recupero progressivo di redditività;

° Imprese – oltre a subire minusvalenze “potenziali” di Borsa sul capitale ( ove quotate in Borsa ) subiscono restrizioni di liquidità sia, per quelle che si finanziano anche emettendo obbligazioni proprie, per un aumento del costo per interessi trascinato dall’aumento dello spread, sia per possibili restrizioni del credito bancario sia, infine, per un aumento del costo per interessi sui prestiti stessi;

° Consumatori/Risparmiatori – oltre a subire perdite “potenziali” su azioni, obbligazioni e BTP in cui hanno investito i risparmi, diventate “effettive” ove abbiano deciso di liquidare in tutto od in parte gli investimenti, hanno già subito e continueranno a subire difficoltà di accesso e maggiori costi, per l’aumento dei tassi, su prestiti e mutui bancari.

Sul meccanismo a cascata degli effetti innescati dall’aumento dello “spread” ci siamo intrattenuti in dettaglio in un specifico Post ” L’aumento dello spread ed il doppio gravame sul debito pubblico e sulle tasche degli italiani: gli effetti della superficialità del Governo giallo – verde “. Meccanismo che l’ineffabile Laura Castelli, sottosegretario al MEF – Ministero dell’Economia e Finanze ( fortunatamente per noi senza deleghe ), digiuna dell’ABC in materia economico – finanziaria, ma ricca di presunzione tipica dei grillini, definisce nelle spiegazioni di cui l’ex ministro dell’economia Pier Carlo Padoan tentava di chiarirle i nessi come “sue opinioni personali” ( trasmissione Porta a Porta ). Queste sono le “teste d’uovo” che affiancano i due leader, già incompetenti di loro, che governano le sorti del Paese.

Ciò chiarito, non appena la “Procedura d’infrazione” per deficit eccessivo – che avrebbe messo in stato di profonda crisi l’Italia – è passata da una teorica, remota possibilità a profili di concretezza applicativa a Salvini lo spread, che prima mangiava a colazione, è diventato assai indigesto mentre il balcone, d’infausta memoria, su cui gli esponenti del M5S, Di Maio in testa, si sono affacciati inneggiando per aver portato nella manovra un aumento del Deficit/Pil al 2,4% è miseramente crollato nella piazza, insieme a tutta la compagine governativa grillina: si è quindi cercato dopo tanta inutile e costosa arroganza un accordo con l’Europa, finalizzato ad evitare la procedura d’infrazione.

2 – Le risultanze principali nel cambiamento della Legge di bilancio scaturite dall’accordo con l’Europa

Va premesso e sottolineato, a futura memoria ( e per evitare facili scarichi di responsabilità, a cui la compagine giallo – verde ci ha abituato ), che l’Europa nel concedere una flessibilità di 15 miliardi, si è occupata solamente di concordare la modifica dei saldi dei capitoli principali. Ciò significa che le politiche e le misure adottate in concreto per fare cassa, attengono esclusivamente alla responsabilità delle scelte politiche del governo.

E veniamo alle principali modifiche delle componenti:

a – Deficit/Pil, scende dal 2,4% al 2,04%;

b – Reddito di cittadinanza, taglio di 1,9 miliardi sui 9 previsti, che scendono quindi a 7,1 ( compreso quanto previsto per i Centri per l’impiego );

c – Quota 100, taglio di 2,7 miliardi sui 6,7 previsti, che scendono quindi a 4 miliardi o poco più.

Le risorse delle due misure scendono complessivamente da 15,7 miliardi ad 11;

d – negli 11 miliardi destinati a reddito e pensioni devono essere recuperati 2 miliardi congelati in un fondo e non spendibili, salvo che dalla verifica a metà 2019 non venga accertato l’avvenuto rispetto degli obiettivi di deficit ( portato come detto dal 2,4% al 2,04%);

e – per finanziare a regime le due misure bandiera il governo si è impegnato con due clausole di salvaguardia sull’IVA che passano per il 2020 dalla cifra prevista di 13,7 miliardi a 23,1 miliardi ( !! )e nel 2021 da 15,6 miliardi a 28,7 miliardi ( !! ). Due clausole “monstre” che se non coperte comporteranno aumenti dell’IVA di 3 o 4 punti;

f – riduzione della stima del Pil dall’1,5% all’1%. Ciò che è stato ora ammesso in Parlamento da Conte e da Tria ( mentre in precedenza chi aveva contestato la credibilità dei numeri, tra cui l’Upb – Ufficio parlamentare di bilancio, era stato reiteratamente attaccato ) è che le cifre della manovra originaria erano state sia sgonfiate sia gonfiate: con il deficit che sarebbe stato ben superiore al 2,4% e la crescita all’1,5% sovrastimata di mezzo punto. Si comprende così anche la richiesta dell’Europa del congelamento dei 2 miliardi a tutela del rispetto degli obiettivi di deficit.

In sostanza, nel gioco dell’oca governativo i partecipanti, con in testa i due leader “rodomonti”, dopo aver effettuato un percorso costato ai cittadini ed all’economia del Paese un centinaio circa di miliardi ancora prima di varare la legge di bilancio, sono stati indotti, a causa del loro insensato comportamento, a pescare la carta che li ha riportati al “via”. Un gran bel risultato che dovrebbe fare profondamente riflettere tutti gli elettori giallo – verde e più in generale tutti i cittadini, in vista di un prossimo futuro, sul costoso pressappochismo di una politica fatta di soli arroganti annunci e di poca incompetente sostanza.

Analizzeremo infatti in un prossimo Post le misure concrete e le politiche adottate per finanziare le scelte fatte: misure, come detto, di esclusiva responsabilità del Governo.

Gianni Pernarella

Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.