di Giampiero Vargiu

Sono stato sollecitato a scrivere questo pezzo dalla vicenda dei grandi parchi eolici di fronte alle coste della Sardegna. In particolare, mi ha colpito il tono utilizzato in alcuni articoli pubblicati su L’Unione Sarda dal caporedattore Mauro Pili, che, forse, nelle intenzioni ha l’obiettivo primo di informare i lettori su questa vicenda, ma la tecnica e i modi oltremodo urlati sono sempre gli stessi usati su tutte le problematiche e i progetti strategici rilevanti: creare una contrapposizione fortissima tra chi è favorevole o contrario, che fa vendere di più i quotidiani, crea visibilità a chi li scrive, ma ha sempre portato a non fare scelte, per esempio, sul tema in oggetto e, soprattutto, il tutto si è ridotto a una contrapposizione sterile tra i “si” e i “no” e non ha mai portato a un dibattito pubblico vero e diffuso con le conseguenti scelte necessarie nell’interesse dei sardi. È, comunque, inaccettabile la situazione che si è venuta a creare, nei modi e nei tempi, con una pioggia di progetti di grande eolico davanti alle coste della Sardegna, per lo più davanti ad alcune rinomate coste. Va respinta con forza, ma, allo stesso tempo, dobbiamo essere noi sardi ad avere la capacità di progettare la transizione energetica, senza retropensieri, ma con una capacità progettuale che guarda al futuro e alle future generazioni. Dobbiamo innescare una mobilitazione forte e un dibattito pubblico di tutti sul tema.

Provo a dire la mia e, spero, a dare il mio modesto contributo nella discussione, come ho già fatto in altre occasioni, sulla strategia energetica e sulla transizione energetica in Sardegna.

Ho deciso di dividere il tutto in due pezzi. In questo primo pezzo intendo descrivere la situazione generale e introdurre dei concetti base, che ritengo indispensabili per affrontare la questione in maniera congrua e pervenire a una possibile proposta.

Già oggi, forse, viviamo già la “tempesta perfetta”, di cui parlano in un loro saggio Gianluca Comin e Donato Speroni, preconizzandola, però, per il 2030. Siamo stretti, se non stritolati, da quattro crisi mondiali: la pandemia da coronavirus, la guerra contro l’Ucraina da parte delle Russia, gli impetuosi cambiamenti climatici e le disuguaglianze, con la povertà a livello globale in continuo aumento.

Donato Speroni, giornalista e caporedattore dell’ASviS (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile) scrive,  in un suo editoriale nel quale cita gli impegni dell’ONU per contrastare i cambiamenti climatici, ad oggi in larga parte sulla carta, che “L’impressione generale, da questo insieme di testi diffusi dal Palazzo di vetro, è che i ritardi porteranno a una drammatica conseguenza: ci stiamo avviando verso un mondo che non rispetterà l’impegno di “non lasciare nessuno indietro”. C’è chi già parla del “mondo dei due terzi”: approssimativamente, su una popolazione globale di otto miliardi, cinque miliardi “se la caveranno” mentre altri tre saranno ricacciati sul fondo del sottosviluppo e della miseria. Si può tracciare una prima linea di demarcazione: Paesi industrializzati ed emergenti da una parte; quasi tutte le nazioni dell’Africa, molte dell’Asia e alcune del Sud America dall’altra. Ma il divario si esprime anche nelle crescenti disuguaglianze all’interno dei singoli Paesi.”

Nello stesso editoriale, Speroni cita, così come scritto da Laura La Posta sul Sole 24 Ore, l’intervento nei due ultimi Festival sull’Ambiente di Trento e Torino del premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, fondatore della “banca dei poveri” Grameen, che è stato invitato a parlare di “impresa sociale”, ma ha allargato il suo discorso alla riforma del capitalismo e dei comportamenti individuali:

“Tutti i partecipanti al dibattito sono concordi nell’affermare il valore dell’impresa sociale come leva per costruire uno sviluppo sostenibile più equo, ecologico, inclusivo, a misura di essere umano, rifondando il capitalismo. Una leva potente per uscire dalla crisi post pandemica e bellica attuale. Facile a dirsi, ma come si passa dalle parole ai fatti? Basta uscire dall’egocentrismo e ragionare usando il “noi”, puntare non tanto sulla nostra felicità quanto su una “super felicità” data dal generare benessere non solo per sè stessi ma anche per le persone che ci circondano». Yunus ha lanciato una proposta: puntare sull’obiettivo «Tre zeri». «Vogliamo tutto, ma siamo poveri perché non sappiamo gioire del poco e quindi il tanto risulta invisibile. Invece, avremmo bisogno di perseguire zero emissioni (anche a livello individuale), zero concentrazione delle ricchezze su poche persone, zero disoccupazione. È il ruolo sociale che definisce l’identità delle persone, quindi la società dovrebbe puntare sull’azzeramento degli sprechi». Yunus ha lanciato l’idea di creare dei club «Tre zeri». “Se ognuno crea un club, all’università, impegnandosi a portare avanti questi tre obiettivi nella sua vita e attirando nella sfida altre cinque persone che si comportano allo stesso modo, allora il bene diventa virale e replichiamo il modello di successo della Grameen Bank».

L’appello di Yunus era rivolto ai numerosi giovani in platea: 

«Siamo tutti su una navicella in viaggio nello Spazio, che noi vecchi e i nostri avi hanno portato lungo la rotta suicida dei cambiamenti climatici e della spoliazione delle risorse comuni: invito voi giovani a entrare in cabina di pilotaggio e a prendere in mano la cloche per virare e salvare l’astronave Terra».

 Le quattro crisi citate hanno ulteriormente messo in questione oltre al modello di società individualista anche quello energetico verticale basato fonti energetiche fossili a catena energetica lunga e, quindi, inefficiente, con grossi centri di produzione, spesso molto instabili dal punto di vista geopolitico e lontani dalle utenze, linee di trasporto e di distribuzione lunghissime e utenti finali esclusivamente consumatori. Sono molte le domande, alle quali dare risposte.

Il modello di società attuale è davvero più efficiente e giusto? Il modello energetico attuale è davvero più efficiente e giusto o genera disuguaglianze e conflitti ricorrenti?

Le parole giuste, oggi, sono competizione e coordinamento o collaborazione e cooperazione? Quando si progettano infrastrutture energetiche si deve tenere conto solo degli aspetti tecnici ed economici o sono altrettanto importanti quelli sociali?

Una sfida complessa ma molto affascinante, che ha anche risvolti che attengono al nostro modello di democrazia, che fatica sempre più a essere compiutamente democratica, in un periodo che vede sempre più l’affermarsi di regimi autoritari in varie parti del mondo e i cittadini sempre spettatori di quanto accade.

Come già scritto in altre occasioni, parlare e discutere di energia lo si deve fare avendo ben presenti questi concetti:

i cambi di paradigma energetico hanno sempre significato, nella storia dell’Umanità, un cambio del modello e della struttura sociale, ha portato innovazione e un miglioramento della “capacità di relazione” tra gli umani: i passaggi dall’uomo cacciatore – raccoglitore a quello agricolo, a quello tecnologico, moderno, post moderno si sono sempre accompagnati alla evoluzione dei modelli energetici, che dall'”energia delle braccia” sono passati alle prime macchine idrauliche, alle macchine per la stampa, alle macchine a vapore con lo sviluppo del carbone, alle macchine a combustione interna con il petrolio e, oggi, alle macchine ibride, elettriche, a idrogeno, a guida autonoma, nell’era dell’intelligenza artificiale, dell’internet delle cose, della realtà aumentata e dei Social Network;

– i cambi di paradigma energetico, con i conseguenti stravolgimenti sociali e culturali, hanno accompagnato l’uomo dalla “coscienza mitologica”, al “cervello teologico e dell’economia patriarcale”, alla “Rivoluzione industriale leggera”, al ” pensiero ideologico nella moderna economia di mercato”, alla “coscienza psicologica nel mondo esistenzialista postmoderno” e, oggi,, al “se teatrale nella società dell’improvvisazione”, come scrive Jeremy Rifkin nel suo saggio “La Civiltà dell’empatia”. Io aggiungo, ha portato allo sviluppo delle moderne democrazie rappresentative e, spero, nel futuro, con l’avvento di un “Sistema Energetico Sostenibile, Diffuso e Democratico”, ad un modello di “Società Umana” sociale, partecipata, sicura, equa e democratica”;

i cambi di paradigma energetico sono, prima di tutto, un processo culturale, sociale ed economico e non si può trasporre, tale e quale, il modello fossile nel modello delle fonti rinnovabili. Tale processo è possibile innescare se, sulle grandi questioni, come quella sull’energia, viene promosso un dibattito pubblico vero, che coinvolga tutta la società. In via preliminare occorre definire i requisiti, i tratti  e i passaggi necessari perché il dibattito sia realmente pubblico;

– il modello energetico a fonti rinnovabili necessita di un mix energetico e di un deciso intervento di efficientamento energetico in tutti i settori, domestico, primario, secondario, terziario e della mobilità;

– la transizione energetica, per tenere fede a tutti gli impegni per fermare i disastri e le devastazioni dovuti ai cambiamenti climatici, deve essere la più breve possibile, con un forte impegno ed obiettivi già per il 2030.