Una nuova Repubblica nasce quando cambia in maniera considerevole il suo assetto istituzionale. Il governo tra Lega e M5S non sancisce la fine di un regime politico e la nascita di un altro. Le eventuali riforme istituzionali di questo governo, però, potrebbero davvero cambiare gli assetti e sancire la nascita di una nuova Repubblica. In questo articolo si cerca di analizzare le eventuali ripercussioni di quanto previsto nel Contratto per il Governo del Cambiamento. Tale contratto prevede una serie di disposizioni che affrontano il tema del funzionamento delle istituzioni centrali e periferiche. In questo articolo si cerca di perseguire due finalità:

  1. Descrivere i contenuti dell’accordo
  2. Offrire una interpretazione dei presupposti e delle conseguenze di tali disposizioni.

Gli articoli oggetto di interesse sono i seguenti.

Art. 1. Il funzionamento del governo e dei gruppi parlamentari.

L’articolo 1 del contratto disciplina le modalità di interazione tra le due parti in relazione:a) all’applicazione dell’accordo all’interno delle istituzioni, b) alle modalità di gestione di eventuali divergenze nell’interpretazione del contratto e c) alle modalità di gestione dei temi non affrontati nel documento.

Vengono in primo luogo enunciatidue principi di grande rilevanza: la centralità del Parlamento nelle decisioni e la piena condivisione delle responsabilità di governo tra le parti, con la previsione di clausole di salvaguardia degli interessi delle due parti sui temi di particolare rilevanza. Le decisioni, in pratica, si decidono in piena armonia e all’interno dell’istituzione parlamentare.

Appena enunciati i due principi, uno viene immediatamente disatteso, attraverso l’istituzione di un Comitato di Conciliazione che tratti i temi per i quali ci siano delle divergenze. La composizione di tale comitato non è esplicitata, ma rimandata a deliberazioni future.

In una precedente versione non definitiva del contratto, la composizione del Comitato di Conciliazione era esplicitata. Si riporta il testo originale: “L'organismo è composto da: il Presidente del Consiglio dei Ministri, il capo politico di M5S e il segretario federale della Lega. I capigruppo di Camera e senato delle due forze politiche e il ministro competente per materia. Alle riunioni partecipa anche come uditore il membro del governo responsabile dell'attuazione del programma nonché eventuali soggetti individuati dal Comitato.”

Le polemiche derivanti dall’anticipazione di tale composizione ha determinato il rinvio della decisione in merito.

Senza entrare nel merito della legittimità di tale organismo, che di fatto è una formalizzazione un po’ burocratica di modalità già esistenti all’interno delle coalizioni tra partiti (vertici di maggioranza), colpisce la netta contraddizione tra i principi enunciati e le modalità applicative definite.

Il Parlamento NON ha un ruolo effettivo nell’elaborazione delle decisioni, tale ruolo risiede nel governo o nel comitato di conciliazione nel caso ci siano dissidi.

L’art. 1 contiene disposizioni sull’iniziativa legislativa da parte di governo e Parlamento. Tale paragrafo, molto scarno, è molto vago e soggetto a interpretazioni. Forse sarà uno dei primi temi sul tavolo del Comitato di Conciliazione.

In linea generale, l’articolo 1 enuncia dei principi generali, poi dettaglia, prevedendone, le modalità di gestione dei dissidi, attestando implicitamente che tali dissidi verranno gestiti all’interno, senza utilizzo di strumenti mediatici, ma sicuramente attraverso strumenti di mediazione tipici del diritto privato. Il Parlamento, a riguardo, non ha voce in capitolo

Art. 20 riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta

Il primo punto dell’articolo dedicato alle riforme istituzionali è la drastica riduzione del numero dei Parlamentari. Tale intervento è finalizzato, stando al contratto, a garantire maggiore efficienza dei lavori parlamentari (pur preservando la rappresentatività dei suoi componenti) e la contestuale riduzione dei costi della politica.

Un altro elemento di interesse è l’auspicio di introdurre il vincolo di mandato dei parlamentari, al fine di evitare i fenomeni di trasformismo tipici del sistema italiano. Si richiamano i sistemi portoghesi e spagnoli, che contengono, in Costituzione, tali dispositivi.

Anche queste disposizioni, sembra, si scontrano con il principio di centralità del Parlamento. In primo luogo, si allontanano i Parlamentari dai territori. Meno sono i Parlamentari, meno sono riconoscibili in uno specifico territorio, meno sono rappresentativi.

Va detto inoltre, in relazione al vincolo di mandato, che il Parlamento è l’istituzione di rappresentanza popolare, non partitica. Il trasformismo all’italiana è un fenomeno odioso e spesso i cambi di casacca sono dettati da calcoli di convenienza, ma l’art. 67 della Costituzione (Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato) è stato pensato per garantire ai rappresentanti la libertà di rappresentare i propri cittadini. Tale disposizione ha un senso se l’obiettivo è garantire la stabilità del governo e il depotenziamento del Parlamento e dei parlamentari. Si tratta, sembra, di una contraddizione rispetto ai principi enunciati.

L’art. 20 contiene anche propositi per il potenziamento degli istituti di democrazia diretta: referendum, disegni di legge di iniziativa popolare. Per i referendum abrogativi, abolizione del quorum al fine di garantire alta partecipazione. Si prevede l’introduzione di referendum propositivi e procedure che garantiscano un maggior rispetto, da parte del Parlamento, dei disegni di legge di iniziativa popolare.

Si sottolinea, per tutti gli elementi enunciati, che si tratta di modifiche che prevedono un’articolata riforma della Costituzione.Tali propositi sono raggiungibili, dunque, nell’arco di una legislatura. Vista la genericità dei propositi e l’impossibilità di comprenderne fino in fondo le implicazioni, l’elemento più interessante che emerge dall’analisi è la prospettiva di un governo di lungo periodo.

L’articolo dimenticato: di cosa non si parla

Non risultano cenni al sistema elettorale che dovrebbe sostituire il Rosatellum, tanto vilipeso prima e dopo le elezioni del 4 marzo. Si sa che il momento giusto per fare le riforme elettorali è la fine della legislatura, quando gli oppositori alla riforma hanno la pistola scarica, i grandi gruppi parlamentari contano di più e i piccoli soccombono. I due contraenti ci penseranno, probabilmente, a tempo debito.

Non si parla del sistema delle autonomie, in particolar modo di province, Comuni e Unioni di Comuni. La riforma avviata dal precedente governo, arrestata a seguito della sconfitta del Referendum Costituzionale, ha restituito un sistema delle autonomie incapace di rispondere alle esigenze dei territori. Sarebbe necessario fare un ragionamento sul futuro delle province e dei Comuni con popolazione sotto i 5000 abitanti. Questa assenza è coerente con una visione centralistica del governo, che è una novità della Lega di Governo – ma non un sorpresa – e una conferma per il M5S, che punta da sempre al livello nazionale.

Riccardo Scintu

Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.