Nel post “Quattro temi aperti” per introdurre il dibattito sul Mezzogiorno scrivevo: “Il tema del Mezzogiorno è scomparso negli ultimi anni dall’agenda politica. È vero che la crisi costringe alla priorità della crescita ma, questa, non si misura solo sul Pil, ma anche sulla capacità di integrare territori e strati sociali sfavoriti”

Con questo post vorrei sviluppare il ragionamento iniziato.

Nel 2017 il Pil è cresciuto del 1,6% e si è tornati ai livelli di occupazione del 2009. Gli ultimi dodici mesi, come certificati dall’Istat, si sono chiusi con un saldo positivo di 265.000 lavoratori in più rispetto al 2016. Il tasso di disoccupazione è pari all’11,2% in calo di mezzo percentuale rispetto al 2016.

A fronte del dato positivo generale vi è però da registrare il drammatico divario fra Nord e Sud del paese: al Nord la disoccupazione è al 6,9%, al Centro al 10% e al Sud sale al 19,3%, quasi tre volte il valore del Nord.

In Sardegna il dato della disoccupazione è del 17%, in controtendenza rispetto alla media nazionale e in linea con quella delle regioni del centro sud.

Oltre la disparità del lavoro vi è anche un’ampia disparità nei redditi. Un confronto tra il 20 per cento più benestante e il 20 per cento più povero della popolazione mostra che il primo gruppo di persone è ben 6,7 volte più ricco del secondo.

Cresce la povertà. Nel 2016 si stima siano 1 milione e 619mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742mila individui. Inoltre, sempre nel 2016 si stima siano in condizione di povertà relativa il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui.

È fallita quindi l’idea che l’efficienza, garantita dai mercati e dalla concorrenza, nonfosse in contrasto con la tutela dei più deboli e che, raggiunta l’efficienza, ci sarebbero state più risorse da ridistribuire anche a chi fosse rimasto indietro.

Se l’efficienza e la concorrenza da sole non bastano, le priorità del paese devono essere il lavoro la lotta alle diseguaglianze fra le persone e i territori.

È però preliminare, perché queste priorità possano essere affrontate, che il principio costituzionale della solidarietà politica, economica e sociale prevalga sugli egoismi individuali, sociali, territoriali.

Il contrasto alla povertà va perseguita senza esitazioni e tatticismi da tutte le forze politiche tenuto anche conto che, con l’eccezione della Lega, tutti gli altri partiti hanno avanzato proposte in questo senso con il reddito di inclusione, di cittadinanza, di dignità.

Dico questo perché le differenze riguardano i costi, il numero di beneficiari e la gestione del reinserimento, ma nessuno mette in discussione la necessità di misure di sostegno al reddito come uno strumento necessario per il contrasto alla povertà..

Con uguale fermezza e solidarietà va affrontato il problema del superamento del divario fra Nord e Sud del paese.

Questo significa che il tema dello sviluppo del Sud deve diventare un problema di tutto il paese.

Nel Post Emilia Romagna, Lombardia e Veneto esultano per l’autonomia differenziata ho scritto:

Dobbiamo registrare che le regioni del Centro Nord hanno abbandonato l’obiettivo della secessione per seguire e sfruttare fino in fondo le indicazioni dell’articolo 116 della Costituzione.

Possiamo pensare che le Regioni del Nord, oltre a inquadrare le richieste di maggiore autonomia nel quadro costituzionale, siano anche disponibili a una maggiore solidarietà con le Regioni del Mezzogiorno?

Dopo la firma dell’Accordo i tre governatori hanno esultato definendo la giornata “storica” e giudicando positivi in primo luogo l’abbandono della spesa storica per i fabbisogni standard, la compartecipazione su più aliquote e tributi, le 23 materie e l’istituzione della commissione paritetica.

Queste dichiarazioni confermano che le regioni del Nord (Lombardia e Veneto soprattutto) perseguono l’obiettivo delle diminuzione del residuo fiscale attraverso la richiesta di nuove competenze e il federalismo fiscale.

Vi è la convinzione che finanziare il Sud non significa favorirne lo sviluppo e migliorarne la qualità dei servizi, ma incoraggiare lo spreco di risorse rispetto alle reali necessità. Le risorse vanno quindi trattenute al Nord, per sanare l’ingiustizia fiscale, resa evidente dagli elevati valori dei residui fiscali delle regioni settentrionali.

Questa impostazione significa, quindi, da un lato il rischio di un ancora più pesante ridimensionamento delle politiche tendenti ad offrire a tutti i cittadini lo stesso livello dei servizi fondamentali e dall’altro l’abbandono delle politiche regionali che hanno l’obiettivo di colmare il divario delle condizioni economiche delle regioni in ritardo di sviluppo rispetto a quelle più sviluppate del Centro Nord.

È anche vero che il Mezzogiorno non può lamentarsi e pretendere solidarietà senza avviare un serio bilancio delle Politiche regionali e delle Specialità, individuando cause e responsabilità che sono in grande parte delle classi dirigenti meridionali.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.