di Giampiero Vargiu

In tanti annunciano un disastro sociale senza precedenti nei prossimi mesi se non si riuscisse a invertire la curva di crescita degli effetti negativi della pandemia da coronavirus. A ben guardare, anche quelli negativi già prodotti sono tanti.

Sembrano lontani anni luce i tempi nei quali il sogno neoliberista riempiva le nostre giornate di ottimismo verso le sorti progressive, che ci avrebbero portato meno disuguaglianze e meno danni all’ambiente.

La promessa della crescita, che dopo un prima periodo di aumento della povertà, sarebbe in grado, successivamente, di diminuirla e regalare a tutti prosperità e abbattimento delle disuguaglianze e, dopo un primo periodo, nel quale sarebbero aumentati i rifiuti e l’inquinamento e si fanno sentire gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, l’umanità avrebbe gli strumenti per invertire questa rotta nefasta. Crescono in maniera esponenziale le disuguaglianze e il pianeta Terra è sempre più inquinato e la crisi ambientale sta accrescendo sempre di più gli effetti catastrofici del clima.

La nostalgia e la centralità del bene comune

È sotto gli occhi di tutti la disillusione, la paura e la rabbia. Questi sentimenti portano sconcerto e a un sentimento molto pericoloso: la nostalgia.

Mi è già capitato di scrivere, mutuando un concetto espresso da Zygmunt Bauman nel suo Saggio “Retrotopia”, che il meccanismo della nostalgia va interpretato come difesa in un periodo contrassegnato da ritmi di vita accelerati e da sconvolgimenti storici. La promessa di ricostruire una casa ideale, con cui molte delle ideologie oggi tanto influenti ci invogliano ad abbandonare il pensiero critico per i legami emotivi. La nostalgia può, però, indurre a confondere la casa vera con quella immaginaria. Questo pericolo va cercato nella versione restauratrice della nostalgia, che ha caratterizzato negli ultimi tempi, ma il pericolo è ancora attuale, i risvegli nazionali e nazionalistici in corso in tutto il mondo, dediti alla mitizzazione della storia in chiave antimoderna, attraverso il recupero di simboli e miti nazionali e, talvolta, il mito del sangue e della proprietà.

Nella nostra epoca, in cui il potere, purtroppo, è disgiunto dalla politica, il disordine mondiale è generato dalla progressiva globalizzazione del potere e, contemporaneamente, da una politica che conserva ancora una dimensione locale. Insomma, la politica è “debole”. A queste considerazioni bisogna aggiungere che con la recentissima rivoluzione nella comunicazione, alimentata, in particolare, da Internet, i Media creano nuovi tipi di azione e interazione e nuove forme di relazioni sociali, non più del tipo “faccia a faccia”. In passato le persone si lasciavano avvolgere da una prossimità fisica, che consentiva ripetuti incontri faccia a faccia. La frequenza con cui oggi le persone appaiono sullo schermo e, ancor di più, il numero di likes e di condivisioni che vantano e aggiungono ai propri messaggi offrono tutto il supporto che occorre per mostrare che sono una scelta dotata di valenza pubblica e, quindi, per deduzione, rispettabile.

In questo scenario, gli effetti della pandemia, uniti ai rischi di una vita alienante nel mondo virtuale, possono portare a una vera e propria catastrofe antropologica.

La pandemia ci ha dimostrato che la centralità del bene pubblico comune è la nostra salvezza. Sono beni pubblici comuni la Scuola, la Sanità, il diritto a un reddito minimo di cittadinanza, il diritto ai vaccini per tutti, la sospensione dei brevetti sui vaccini in tempo di pandemia, anche perché la ricerca che porta alla loro individuazione è finanziata con i soldi pubblici.

L’inizio di una nuova era

Adam Tooze scrive sul settimanale Internazionale del 12 marzo scorso un pezzo dal titolo “L’inizio di una nuova era economica”. In esso afferma, riferendosi alle attuali difficoltà, “Le necessità delle persone più colpite dovrebbero essere una priorità per la politica e ci sono momenti in cui la democrazia consiste proprio nel rimuovere ostacoli e ambiguità che impediscono di affrontare questi problemi. Da questo punto di vista l’amministrazione Biden sta facendo il suo dovere. Il pacchetto da 1.900 miliardi, approvato dai democratici al Senato grazie a una scappatoia che ha permesso di aggirare l’ostruzionismo dei repubblicani è un buon esempio di leadership democratica in azione e l’Europa farebbe bene a seguirlo. Gli Stati Uniti non stanno solo dando l’esempio: stanno preparando il terreno per la ripresa del resto del mondo.”

La vicepresidente degli USA Kamala Harris

Inoltre “Investire soldi per generare una ripresa più rapida possibile è l’imperativo del momento e farà bene all’economia nel lungo periodo. È un prerequisito essenziale per una politica orientata verso la giustizia sociale. Non è solo una questione tecnica. Il punto centrale è politico. È evidente che nel 2021 l’asse delle politiche economiche si sta spostando verso sinistra.”

Una delle domande che dobbiamo porci è se davvero stiamo, in questa situazione di grave crisi, progettando il nostro futuro.

Per restare sul terreno che ci riguarda da più vicino, l’Europa sta facendo la propria parte. Una delle cause principali che hanno portato alla caduta del Governo Conte 2 è stata la stesura del Recovery Plan di Ripresa e Resilienza italiano, nato dal progetto Next Generation EU di 750 miliardi di euro. Il Piano di Ripresa e Resilienza italiano prevedeva tre priorità trasversali: Donne, Giovani, Sud.

Inoltre, prevedeva sei missioni:

  1. digitalizzazione, innovazione, competitivita’ e cultura;
  2. rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. infrastrutture per una mobilità sostenibile;
  4. istruzione e ricerca;
  5. inclusione e coesione;
  6. salute.

L’importo totale del Piano italiano è di circa 209 miliardi di euro. Si tratta del Piano di spesa e di investimenti più consistente mai visto in Italia, dal titolo emblematico “Generazione Futura” e che riguarda il nostro futuro e, in particolare, chi nel futuro ci sarà sicuramente: i giovani.

Peccato che le Comunità non siano ancora state coinvolte. La partecipazione, di cui si parla tanto, è a zero.

Il nuovo Governo sta lavorando a una nuova proposta di Recovery Plan.

Su quanto si sta facendo in Sardegna è meglio stendere un velo pietoso, ma, allo stesso tempo, occorre ribellarsi alla totale assenza di progettualità condivisa e strategica. Ogni tanto sulla stampa appare qualche sporadica proposta qua e là.

La Politica con la P maiuscola

Io non credo che ci aspetti la fine della civiltà umana, come scrivono tanti esperti e opinionisti.

Da questa crisi ci può aiutare a uscirne la Politica, quella con la P maiuscola, l’assente dalla scena in cui siamo oggi e che deve guidare i profondi cambiamenti che ci attendono, peraltro già iniziati.

Sono convinto di due cose.

La prima è che oggi occorre combattere contro la “Società dell’opinione”, che ha reso tutto “liquido” per affermare una “Società della verità”.

La seconda è che i cambiamenti indispensabili per una Società equa e sostenibile devono essere innescati, per essere reali ed efficaci, dal basso, con una forte partecipazione dei cittadini alle scelte strategiche che li riguardano.

Mi piace, al riguardo della Politica con la P maiuscola, citare un aneddoto, di cui ho già scritto, raccontato da Tatò nel corsodi un convegno su Berlinguer svoltosi a Brescia il 30 – 31 gennaio 1987 e intitolato “L’eredità morale e politica di Enrico Berlinguer”.

Berlinguer ricevette una lettera di una fanciulla di prima media che gli chiedeva cosa fosse la politica. Dopo essersi preso un poco di tempo, rispose di persona con l’impegno che la risposta richiedeva e tenendo presente chi aveva posto la domanda. Usò, ricordava Tatò, “un amorevole scrupolo didattico, come se si trovasse a spiegare l’argomento in un’aula scolastica, di fronte a un uditorio di ragazzini, di adolescenti”.

Nella risposta Berlinguer partì da un dato noto a tutti, ma non a quella bambina. Politica deriva dalla parola greca polis che vuol dire città e, in senso esteso, deve intendersi cittadinanza, diritto di cittadinanza, interessi della cittadinanza e anche affari pubblici, Stato. E questo è tanto più vero in quanto i composti di polispoliteia, che è la Costituzione da dare a quella comunità urbana che è la polis, e politein, significano partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, al governo dei pubblici affari. La pignoleria berlingueriana nel richiamo etimologico ha un senso nella necessità da parte di Berlinguer di far conoscere a quella bambina il significato primo della politica, la funzione e lo scopo, cioè i fini ultimi, della politica, il fatto che politica e potere sono privati del loro significato originario ogni volta in cui non sono esercitati in funzione e al servizio dei cittadini e del popolo.

La politica non perviene a nessuno dei suoi obiettivi se ad essa non si unisce l’impegno e la passione.

Berlinguer sostenne che c’era bisogno non soltanto di porre attenzione alle forme di organizzazione dei giovani, ma, soprattutto, di porre attenzione ai giovani in quanto tali, che, aggiungeva, “non dimentichiamolo, vivono nelle scuole”. Berlinguer poggia il suo ragionamento sulla scuola e sul nesso scuola – società: “…la lotta per il rinnovamento della scuola è parte integrante e decisiva della lotta per il rinnovamento di tutta la società e ogni battaglia vinta sulla via della trasformazione della scuola e dell’insegnamento, sollecita e stimola altre trasformazioni, non solo nella scuola, ma in tutta la struttura economica e sociale”.

Libertà e responsabilità

Ma la politica da sola non basta.

Ecco, oggi ci vuole un nuovo “Progetto umano del XXI secolo”, che metta insieme libertà e responsabilità, nel coinvolgimento delle intere Comunità.

Come scriveva il filosofo tedesco Georg Simmel più di un secolo fa “Se non si vuole distruggere il mondo e perdersi nel labirinto che lei stessa costruisce, la libertà ha bisogno di vestire l’abito della responsabilità”.

Ricordando quanto sosteneva Simmel, scriveva Mauro Magatti in un pezzo sul CORRIERE DELLA SERA del 22 agosto del 2019 “La responsabilità è un termine che, per Simmel, ha un duplice significato: disponibilità a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni e consapevolezza che la libertà fondamentalmente si esprime come risposta alle interrogazioni che la realtà ci pone. La responsabilità è l’unico modo per permettere alla libertà di prendere forma e di generare socialità invece che caos. Per questo non possono che risuonare come potentemente attuali le parole che il filosofo tedesco scrisse un secolo fa: “il sintomo della libertà dell’uomo consiste nel fatto che egli dà la libertà agli altri”. Oggi come ieri, andare nella direzione opposta significa distruggere la libertà e consegnarsi volontariamente a nuove forme di servitù.”

Per vincere la sfida del futuro bisogna avere la capacità progettuale e la volontà di mettere insieme alle parole libertà e responsabilità la parola equità.