di Riccardo Scintu

Uno degli effetti della pandemia mondiale è stato la definitiva spinta, anche negli enti pubblici, verso lo smart working, o lavoro agile. Nonostante il settore pubblico italiano sia considerato uno degli ambiti della vita politico-sociale di questo Paese maggiormente avverso al cambiamento, chi vive all’interno di questi enti constata quasi quotidianamente un continuo cambiamento, in parte imposto dalle norme, molto più spesso favorito dal turnover del personale e dall’introduzione di nuove tecnologie.

Il salto culturale che porti al lavoro agile necessita tuttavia di uno stravogimento del paradigma di riferimento, una nuova cultura organizzativa che ricostituisca i concetti su cui si basa l’organizzazione del lavoro. La necessità di ristrutturazione dei concetti di riferimento contiene un contestuale rischio, che è ben chiaro a tutti: chiamare le cose vecchie con parole nuove. I soggetti avversi al cambiamento, infatti, accettano di buon grado la revisione costante degli aspetti superficiali per conservare, intatta, l’essenza profonda delle cose. Basta cambiare il nome a una cosa e trattare la stessa esattamente come prima. Così il telelavoro diventa lavoro agile, il sottoposto diventa collaboratore e così via.

Allora perché in questo post discuto del linguaggio del lavoro agile? Perché è comunque necessario partire dai concetti, pur sapendo che ai concetti devono sempre seguire i fatti. Un dirigente, davanti alla sfida della riorganizzazione degli uffici secondo una modalità agile, deve partire dall’analisi di ciò che era per arrivare all’obiettivo di ciò che deve essere. Il lavoro agile non è un cambiamento che si produce in un giorno, in una settimana o in un mese, ma è invece un lento (ma probabilmente inesorabile) processo di adeguamento culturale degli enti al nuovo contesto in cui operano, che parte dal superamento di certi concetti che la pubblica amministrazione ha addirittura, in alcuni casi, imposti per legge.

Ragionerò dunque per parole chiave, indicando ciò che oggi (in gran parte) è contrapponendolo a ciò che in futuro dovrebbe essere.

COMANDARE – CONDURRE

Uno degli aspetti più importanti del lavoro agile è il superamento delle barriere tra i lavoratori. Venendo a mancare il contatto fisico è necessario introdurre una modalità di interazione maggiormente orientata al rapporto piuttosto che alla forma. Per questo motivo il dirigente deve diventare un soggetto che ha l’obiettivo di condurre i propri collaboratori piuttosto che il soggetto che impartisce gli ordini. Questa pratica è faticosa perché implica una continua negoziazione con i collaboratori e una leadership che si fondi sulla produzione di valori, obiettivi e modalità operative condivisi.

RESPONSABILITA’ – AUTONOMIA

Se il dirigente deve evitare di impartire ordini perentori e deve invece concordare valori, obiettivi e modalità condivise, i collaboratori non hanno solo delle responsabilità di cui rispondono, hanno anche un’autonomia che si basa sulla fiducia. La responsabilità non è più e non solo una cosa imposta con un atto formale, ma diventa invece una conseguenza dell’autonomia concessa nell’esecuzione. Maggiore libertà, maggiore responsabilità.

CONTROLLO – SUPPORTO

Il dirigente deve garantire i controlli sull’operato dei propri collaboratori, lo prevede anche la normativa cui  è soggetto. Tuttavia, lo stile del controllo cambia in primo luogo la percezione da parte del controllato, nonché il suo stesso esito. Il controllo non deve essere praticato o subito come un momento di resa dei conti, ma come una forma di supporto da parte del dirigente nei confronti del collaboratore. In primo luogo, si dovrebbe organizzare il controllo insieme ai collaboratori e in caso di criticità ,queste devono essere discusse e superate insieme. Il controllo è insomma da gestire come un momento dedicato al collaboratore, al fine di mostrare empatia e organizzare insieme il superamento dei problemi che si sono riscontrati. In questo modo il controllo diventa attenzione, da cosa temuta può diventare un momento lieto e fruttuoso.

PROCEDIMENTO – OBIETTIVO

La gestione di un procedimento implica l’attuazione di una serie di azioni previste da una normativa e da una regolamentazione interna all’ente. L’esecuzione del procedimento è valutata in relazione all’aderenza dell’azione a una serie di prescrizioni. La gestione di un obiettivo è invece orientata al risultato e non prevede rigide procedure, bensì un valore finale atteso. Negli enti pubblici i dipendenti e spesso anche i dirigenti agiscono per adempimento, nel rispetto della procedura, dimenticando, qualche volta, che ogni procedimento è uno strumento per raggiungere un fine. Per la gestione del lavoro in modalità agile è necessario stabilire cosa sia uno strumento (le procedure che garantiscono il rispetto delle norme) e cosa sia il fine (il valore pubblico). Il dirigente deve perseguire il fine, verificando il rispetto della legittimità (il giusto utilizzo degli strumenti), garantendo per il resto piena autonomia, in modo da valorizzare le capacità dei dipendenti.

DISTRIBUZIONE DEL LAVORO – COOPERAZIONE

Nella modalità agile non deve esistere una rigida distribuzione del lavoro impartita dall’alto, ma una continua interazione orientata alla cooperazione. La suddivisione dei compiti è tipica di un sistema gerarchico e compartimentale, è inoltre una modalità gestionale prevista dalla normativa che regola il funzionamento della pubblica amministrazione. Tuttavia, gli enti pubblici assomigliano più a un organismo vivente che a una catena di montaggio; l’attività di un ufficio influenza gli altri ed è influenzato dagli altri. In un contesto così dinamico, soprattutto se gestito con modalità agile, la distribuzione dei ruoli deve essere messa in discussione in relazione alle esigenze contingenti, in una logica di condivisione degli oneri così come delle soluzioni. Solo attraverso l’allineamento rispetto ai concetti precedentemente discussi si crea il terreno fertile per questo cambio di paradigma, che supera gli steccati della gerarchia e fa lavorare i collaboratori come un gruppo.

VALUTARE – CONOSCERE

La riforma della Pubblica Amministrazione intervenuta nel 2009 prevedeva l’attribuzione di premialità a una quota limitata di dipendenti, attraverso la misurazione e valutazione della performance di ciascun dipendente. La normativa dava per scontato che almeno un quarto del personale non avrebbe meritato alcun premio. Il lavoro agile aumenta le distanze fisiche tra valutato e valutatore, tale da non dare elementi immediati per la misurazione della performance resa, né tanto meno per la sua valutazione. Se la misurazione è orientata alla valutazione, il rischio che si corre è l’automatica resistenza di colui o colei che deve rendere l’informazione. In un ambiente di lavoro in modalità agile, la misurazione deve essere orientata prevalentemente alla conoscenza sullo stato dell’arte. Anche in questo caso, la partecipazione dei collaboratori nella misurazione è un modo per non fare avvertire la misurazione come una modalità per valutarne l’operato ma come una modalità per superare le difficoltà e manifestare il proprio punto di vista.

PUNIRE – CORREGGERE

Tutte le informazioni derivanti dalla misurazione della performance possono essere utilizzate sostanzialmente in due modi: per punire chi ha sbagliato o per correggere gli errori, al fine di migliorare la performance e il clima generale all’interno dell’organizzazione. La punizione è già oggi un’ultima istanza negli enti pubblici, ma non deve rappresentare neanche una minaccia (uno degli strumenti ampiamente utilizzati per “controllare” il personale). La punizione è il fallimento di un ambiente di lavoro organizzato in modalità agile, la correzione è un obiettivo da perseguire per migliorare l’organizzazione nel suo complesso

CONCLUSIONI

Dunque, come si organizza il lavoro agile? Mi riprometto di scrivere un altro post più operativo a riguardo. Ritengo tuttavia che i concetti sopra espressi siano determinanti al fine di riorganizzare operativamente un ente attraverso modalità di lavoro agili.