Il presente post, che trae ispirazione dal clima politico attuale in Italia, si pone tuttavia l’obiettivo di descrivere e stigmatizzare due distinte modalità di guida dell’azione di governo, due modalità ispirate da un principio implicito: il governo è guidato da una volontà esterna ad esso.

Descrivere il buon governo è stato obiettivo di grandi pensatori di ogni estrazione culturale. Ognuno di essi ha cercato di rappresentare il mondo per come è e il mondo per come deve essere. Nell’ipotesi del governo migliore possibile, in molti hanno cercato di legare l’azione dell’esecutivo alla chiara rispondenza tra l’azione e una volontà collettiva. Rousseau, ad esempio, parlava di Volontà Generale, la quale sarebbe insita in tutti gli uomini e alla quale il buon governo dovrebbe sottostare.

Uscendo dai concetti filosofici, tutti i governi hanno giustificato la propria azione sulla base di una volontà che lo legittimasse. Negli ultimi vent’anni tale volontà è stata tradotta rozzamente nel successo elettorale: una volta vinte le elezioni ogni azione del vincitore, anche se particolarmente differente rispetto a quanto promesso, rappresentava la volontà della maggioranza della popolazione.

Con l’insorgere dei mezzi di comunicazione non mediati (i social network) ogni azione di governo è passata al vaglio dei riscontri degli utenti, con un automatismo pressoché istantaneo. Così, mentre in precedenza il cittadino si esprimeva (manifestazioni e scioperi a parte) ogni cinque anni, ora si esprime ogni cinque minuti.

Tale meccanismo ha portato, a seconda delle forze politiche al governo, a due reazioni attraverso cui il governante si scarica di (almeno una parte di) responsabilità:

  1. Nella prima ipotesi l’azione è determinata dalla volontà di un’entità sovraordinata, così tutte le azioni impopolari diventano imposizioni dall’alto (lo vuole l’Europa)
  2. Il secondo caso è diametralmente opposto: si agisce sulla base della volontà popolare.

Mentre la prima narrazione è perdente poiché manifesta l’incapacità da parte dei governanti di incidere sulle sorti delle comunità guidate, la seconda tipologia necessita di una più attenta riflessione.

Con il termine democrazia rappresentativa si intende infatti un regime nel quale il popolo nella sua interezza detiene il potere, attraverso il meccanismo delle elezioni, da cui vengono selezionati i rappresentanti.Il ruolo dei rappresentanti è, lo dice la stessa parola, quello di rappresentare le comunità che li hanno eletti.

Il problema è se i rappresentanti debbano fungere da sintetizzatori e megafono di una volontà collettiva (governo dei cittadini) o da promotori di azioni in favore della collettività (governo per i cittadini). Questa differenza incide drasticamente sugli stili e soprattutto sugli esiti dell’azione di governo.

Il governante non può esercitare il ruolo di mero esecutore della volontà popolare, dovrebbe invece essere in grado di interpretare la realtà delle comunità cui deve dare risposte e proporre soluzioni per garantirne una migliore condizione. Per fare questo deve evitare di seguire l’opinione pubblica in relazione alle singole politiche, ma perseguire, attraverso un disegno coerente, le vere finalità secondo i mezzi che ritiene più opportuni.

Facciamo un esempio: se si dovesse insinuare nella popolazione un senso di insicurezza per un incremento dei crimini violenti, potrebbe farsi strada presso l’opinione pubblica l’idea dell’inasprimento delle pene, fino a voler ripristinare la pena di morte. Nell’esempio, dunque, il fine è un maggior senso di sicurezza, lo strumento per il raggiungimento del fine l’inasprimento della pena. Il buon governante, piuttosto che implementare lo strumento assecondando un sentimento dettato dalla paura e dalla frustrazione, dovrebbe essere in grado di individuare la necessità da cui questo sentimento è scaturito e soddisfare tale necessità attraverso gli strumenti migliori, che apportino minori costi sociali, per il benessere collettivo (es. politiche di presidio del territorio da parte delle forze dell’ordine, installazione di impianti di videosorveglianza etc.).

In altre parole, non è sufficiente conoscere il sentimento del popolo, occorre guidarlo, proponendo, dove necessario, anche azioni che non rappresentano esattamente la volontà generale, ma che tutelano gli interessi generali della collettività.

Insomma, non è vero che l’Europa voleva “La Buona Scuola” o il “Job’sAct”, ma esortava l’Italia a migliorare la propria produttività, così come è vero che il popolo non vuole la “FlatTax” e il “Reddito di Cittadinanza”, ma vorrebbe avere un reddito meno risicato e pagare meno imposte. Prima i nostri governanti lo capiscono, prima usciremo dalle secche dei governi dell’annuncio e dell’improvvisazione.

Riccardo Scintu

Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.