Nel Post di Antony Muroni, portavoce del Movimento, intitolato “Una rivoluzione federalista, con i Comuni al governo della Regione, si dichiara che la riforma dello Statuto, imperniata sul federalismo interno, sarà uno dei punti dirimenti che Progetto Autodeterminatzione vuole portare all’ordine del giorno del Parlamento e del Consiglio.

Concordo con Antony Muroni che la Regione deve essere un Ente di programmazione, indirizzo e controllo, che i comuni devono essere centrali e che la pianificazione territoriale deve tenere conto delle aree costiere e delle zone interne.

Concordo ancora con la necessitò della riscrittura dello Statuto (personalmente nell’ottica della Specialità e non dell’Indipendenza), e ritengo che uno dei punti fondamentali sia sicuramente il federalismo interno; mi chiedo, però, quale federalismo interno vogliamo noi sardi che non riusciamo mai ad avere un progetto unitario.

Forse un po’ di storia serve a farci capire che le classi dirigenti sarde devono avviare un profondo processo di rinnovamento.

A partire da un punto fondamentale; basta con i grandi e brillanti voli pindarici: partiti e movimenti comincino col presentare progetti definiti sui quali i sardi possano pronunciarsi.

Iniziamo con l’affrontare, una volta per tutte, i nodi irrisolti nella storia del Federalismo interno; le funzioni da attribuire alla Regione, agli Enti Locali e, soprattutto, il ruolo dell’Ente intermedio.

Partirei per questo breve excursus storico dai lavori preparatori per la redazione dello Statuto.

Sia il progetto sardista,che quello democristiano ritenevano che il potere sull’ Ordinamento interno della Regione, improntato ai principi dell’Autonomia e del Decentramento, dovesse appartenere alla Regione.

La visione dell’Ordinamento interno della Regione prevedeva, come conseguenza automatica dell’Autonomia, la soppressione delle Province.

Questa impostazione non passò per due ragioni: perché la provincia di Sassari, compatta si oppose alla soppressione delle province e perché i consultori sardi si espressero negativamente in merito alla proposta di Lussu e Berlinguer di estensione alla Sardegna dellolo Statuto siciliano, che attribuisce, fra l’altro, la competenza sull’Ordinamento interno alla Regione.

La conseguenza fu che la Regione, ai fini della programmazione e dello sviluppo territoriale, ha via via creato ambiti territoriali propri come le Zone omogenee, i Comprensori, le Comunità montane, le Aree programma, i Gal, le Unioni dei Comuni, i Pia, i Pit, le Aree di crisi e i Territori svantaggiati.

Gli ambiti territoriali sono stati i più vari e ciò ha determinato la perdita, insieme agli stessi ambiti, del patrimonio di conoscenze e di progettualità accumulato.

Una delle ragioni, e non la minore, che ha determinato il fallimento di tutte queste iniziative è stato il permanere dei due ordinamenti.

La strada dell’unico ordinamento interno degli enti locali della Regione era perciò la soluzione per la piena affermazione dell’ autonomia istituzionale. Il che significava una concezione della Regione quale ente di legislazione, programmazione, indirizzo e controllo e un ente intermedio come strumento di programmazione territoriale e gestione di Area vasta.

Le leggi di riforma degli Enti Locali non hanno seguito questa strada.

Non solo non è stato fatto nulle per superare la coesistenza impossibile fra i due ordinamenti, ma si sono create quattro nuove province regionali che hanno ulteriormente complicato il quadro istituzionale e aumentato la spesa regionale.

Ciò è avvenuto con la Legge Regionale 12 luglio 2001, n. 9 (Istituzione delle Province di Carbonia – Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia – tempio) che, in attuazione della precedente Legge Regionale n. 4 del 1997 e con un unico articolo, ha istituito le nuove Province di Carbonia – Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia – tempio.

La Legge regionale 12 giugno 2006, n. 9 Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali non si è mossa in direzione del Federalismo interno, ma nell’ambito delle competenze statali e regionali vigenti come specifica l’art.1 che definisce l’oggetto della legge:

“Con la presente legge la Regione disciplina, nell'esercizio della propria potestà legislativa in materia di “Ordinamento degli enti locali e relative circoscrizioni”, di cui alla lettera b) dell'articolo 3 dello Statuto speciale, il conferimento delle funzioni e dei compiti amministrativi agli enti locali in attuazione del decreto legislativo 17 aprile 2001, n. 234 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Sardegna per il conferimento di funzioni amministrative, in attuazione del capo I della Legge n. 59 del 1997), e in coerenza con i principi di cui agli articoli 118 e 119 della Costituzione, nonché con l'articolo 10 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)”

Vi è da dire che la legge n.9 perlomeno era una legge che si sforzava di definire con precisione compiti e funzioni della Regione, delle Province, degli Enti Locali singoli e associati.

Si è arrivati così al referendum del 6 maggio 2012.

Come si sa, quattro quesiti del Referendum, riguardavano la cancellazione delle leggi regionali che avevano istituito le quattro province sarde più recenti, ossia Gallura, Medio Campidano, Sulcis, Ogliastra. Uno invece, a carattere consultivo, prevedeva l’abolizione delle province storiche di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano.

Il risultato certo era quello dei referendum abrogativi delle nuove province. Per il referendum consultivo, l’abolizione delle Province storiche, era necessaria invece una modifica dello Statuto.

Il 24 Settembre 2013, il Consiglio regionale ha approvato la modifica dell’articolo 43 dello Statuto, abolendo le province storiche. Nella relazione la motivazione di fondo è quella di restituire alla potestà legislativa primaria della Regione la determinazione di tutti gli aspetti relativi all’ordinamento degli enti locali e, dunque, anche degli aspetti relativi all’assetto delle province.

L’ultimo passaggio necessario per far diventare effettiva la legge era il voto della Camera e del Senato che nessuno ha richiesto da allora.

Si è arrivati così alla legge 4 febbraio 2016, n. 2 Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna

La legge è negativa per due ragioni: prima di tutto perché da un lato si dice che la Regione ha funzioni di indirizzo strategico e di programmazione ma, dall’altro, continua inesorabilmente a sottrarre ai territori funzioni fondamentali; (ricordo solamente che le funzioni attribuite alle province dalla legge 9/2006 in materia di turismo e lavoro, sono oggi di competenza regionale); in secondo luogo è un passo indietro rispetto all’obiettivo dell’Ordinamento interno quale funzione primaria attribuita della Regione.

Conclusione: 70 anni di Autonomia non sono stati sufficienti alle classi dirigenti sarde rper affrontare i nodi irrisolti del Federalismo interno; le funzioni da attribuire allo Stato, alla Regione, agli Enti Locali e il ruolo dell’Ente intermedio.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.