di Elisa Dettori

Il Retail Apocalypse (Apocalisse della vendita al dettaglio) è un fenomeno che ha iniziato a svilupparsi in America a partire dal 2010, a seguito dell’incremento eccessivo del numero dei centri commerciali sul territorio e del mutamento dei comportamenti dei consumatori che, in particolar modo negli ultimi anni, dedicandosi agli acquisti online piuttosto che a quelli tradizionali, stanno causando la chiusura di tantissimi punti vendita della grande distribuzione organizzata.

È soprattutto dal 2017 a oggi che, negli Stati Uniti, la crisi della vendita al dettaglio ha raggiunto livelli così allarmanti da portare gli esperti a interrogarsi su quanto stia accadendo, con l’intento di elaborare possibili strategie di contrasto a una condizione che sta colpendo duramente le grandi catene e i grandi marchi, conosciuti nel mondo.

Parliamo di un numero sempre più consistente di chiusure che, com’è facile immaginare, si traducono in migliaia e migliaia di posti di lavoro persi.

Sul cambiamento del modo di comprare e spendere, ha certamente influito il colosso dell’e-commerce “Amazon” anche se, oggi, la commercializzazione di beni e servizi tramite internet si è estesa su varie piattaforme e viene effettuata sempre più in maniera diretta anche da piccole attività, che offrono sui propri siti l’alternativa dello shopping online.

In Italia, la situazione non si presentava così apocalittica, prima del Covid. La crisi era avvertita dalle piccole realtà schiacciate dalle tasse, da una burocrazia farraginosa e dalla concorrenza dei centri commerciali mentre, questi ultimi, non registravano crisi di fatturato tali da destare le stesse preoccupazioni statunitensi.

Oggi, però, lo scenario è cambiato. È troppo presto per fare valutazioni statistiche ed economiche chiare, tuttavia è possibile iniziare a delineare un quadro generale della questione, citando quantomeno gli aspetti più intuitivi.

Durante la quarantena, tanti hanno sperimentato per la prima volta gli acquisti su internet. Una comodità in termini di tempo e di convenienza economica, cui ci si abitua in fretta e che, difficilmente, porterà di nuovo i clienti affezionati nei propri negozi fisici di fiducia. O forse vi si recheranno ancora, ma magari con minore frequenza.

Dopo decenni di consumismo sfrenato, la pandemia ha modificato le scelte d’acquisto, che tendono ad abbandonare il superfluo. Molti hanno realizzato che è davvero possibile vivere dedicandosi all’essenziale.

Non si contano i negozi per i quali il commercio elettronico è stata la salvezza, durante l’isolamento forzato. L’esperienza che stiamo vivendo porterà come logica conseguenza a strutturare in maniera sempre più efficiente questo tipo di vendita, con i suoi pro e i suoi contro.

Ultimo, non per importanza, l’esigenza del distanziamento sociale che rende rischiosi gli assembramenti nei centri commerciali. Un problema non da poco, considerato il fatto che sono diventati sempre più un simbolo di incontro e aggregazione, in cui ci si dà appuntamento con gli amici, si organizzano eventi di ogni tipo, come presentazione di dischi, libri, opere d’arte e così via. Se viene meno il ruolo sociale che hanno consolidato nel tempo, viene meno la loro stessa essenza.

Questi sono solo alcuni degli aspetti su cui è possibile ragionare nell’immediato. L’epidemia è ancora in corso e non sappiamo quali saranno gli sviluppi futuri.

Ad oggi, come già scritto, è presto per stabilire se anche in Italia si potrà parlare di Retail Apocalypse all’americana con la sua scia di fallimenti, chiusure e disoccupazione.

Vero è che, in ogni caso, il Covid-19 stravolgerà di certo il futuro del commercio nel nostro Paese, negli USA, nel mondo.