Sempre più spesso, la politica non viene vissuta come una semplice passione ma con vero e proprio fanatismo. Fanatismo che si concretizza nell’incapacità di valutare razionalmente ciò che accade e nell’intolleranza nei confronti di chi pensa in maniera differente.

Quella minima dose di competizione prevista, si trasforma in una lotta ostile e inaspettata tra chi cerca di sostenere e supportare non più le idee ma la propria “squadra”, alla quale si sente di appartenere, quasi come se si trattasse di una famiglia.

Alla base di questo atteggiamento che coinvolge un po’ tutti ma, per fortuna, non necessariamente allo stesso modo, c’è l’immaturità di chi è convinto che la propria realtà sia l’unica credibile e che non possa subire mutamenti. Il fanatico parte dal presupposto di non commette errori.

Appoggiare la linea del partito nel quale ci si riconosce e che si decide di votare, è la cosa più ovvia che un militante o un elettore in genere possano fare. Quando però si arriva a non riuscire ad ammettere gli sbagli, finanche goffi, difendendo ciò che è evidentemente indifendibile, mentre si lanciano invettive contro gli avversari, senza argomentazioni che giustifichino quell’atteggiamento, allora si è dei fanatici.

Argomentare è importante, è l’espressione del ragionamento, frutto della personale elaborazione degli elementi che si hanno a disposizione. Personale, sì, perché ogni riflessione si basa sulle esperienze e sulle conoscenze di ciascuno, ovvio. Ciò però non significa che una logicità di fondo non possa o non debba esserci.

È essenziale saper dare un senso alle proprie deduzioni, perché è questo che consente di confrontarsi con l’interlocutore, avvalendosi della solida base di un ragionamento ben strutturato.

Purtroppo, non sempre è così. Accade, non di rado, che chi insiste maggiormente durante una discussione, non abbia le capacità per farlo e tramuti un’opportunità di dialogo in una serie insulti e vacue nefandezze.

Grazie a strumenti come Wikipedia, molti vivono nella convinzione che studiare e approfondire non sia necessario. Per loro è sufficiente leggere due righe di sintesi, per possedere un argomento. Non è così.

La politica è una cosa seria. Occuparsene significa informarsi a fondo, avere il coraggio di fare delle scelte, di mettersi in discussione, di esporsi personalmente con le proprie idee e i propri valori, essendo il più possibile coerenti. Significa saper parlare di diritti, lavoro, istruzione, famiglia e di tutto ciò che riguarda la vita di ognuno. Significa sollecitare confronti e lo scambio di opinioni.

Certo, c’è un limite oltre il quale è inutile scontrarsi e prima del quale è necessario fermarsi per evitare vere e proprie liti e quel senso di frustrazione che si può provare quando la logica non viene recepita.

Oggi, il più delle volte non si giudicano i fatti ma solo ed esclusivamente le persone, valutate attraverso i parametri della simpatia e dell’appeal che un politico riesce a esercitare. Pressoché inutile è il saper fare.

La politica è ridotta a mero tifo da stadio. Molti dei cittadini che ne seguono l’andamento, non recepiscono in realtà nulla di sostanziale in ciò che viene detto dai suoi attori principali. Al di là di ciò che è giusto o sbagliato e della comprensione, c’è l’istinto più becero che deve essere soddisfatto, quella goduria che si prova nell’assistere a un KO dell’avversario, sperando non si rialzi.

Il confronto, la dialettica, la compostezza linguistica, sembrano appartenere ormai al passato. Oggi partecipiamo a degli scontri in arene virtuali nelle quali il politico preferito incarna il torero che deve avere la meglio sul toro. Non prima di averlo umiliato quanto basta, per rendere i suoi sostenitori miseramente soddisfatti.

Olè.

Elisa Dettori