In questo Post cercherò di focalizzare alcune azioni che, a mio avviso, non dovrebbero essere fatte in Italia nell’ambito della politica economica: preferendone altre che invece potrebbero forse risultare, nella situazione attuale, più adeguate.

Sono peraltro consapevole che si tratta di un puro esercizio intellettuale di confronto con chi avrà la bontà di leggere, perché la possibilità che hanno di essere adottate, nel contesto politico attuale, mi sembra utopia. Sarebbe tuttavia già un grande risultato trovare lettori – pochi o tanti che siano – che le assumano come temi di riflessione, anche se non condivisi.

Cose da non fare:

“Dual tax” sui redditi personali ( Irpef ) – sul problema della flat tax, ora dual tax con aliquote al 15 e 20% ( ma senza mutamenti di sostanza ), rinvio per non essere ripetitivo a quanto analizzato in dettaglio nel Post:

“Flat tax” e “Abolizione della tassa di successione “: a chi il fumo e a chi l’arrosto.

In questa sede credo possano essere di utilità alcune considerazioni e verifiche.

Una delle motivazioni che è stata avanzata, per giustificare il passaggio da un’aliquota del 43% ad una al 20%, è che questa scelta contribuirebbe a combattere l’evasione fiscale e far emergere il “sommerso”. Per capire quanto fondate siano le prospettive di recupero di base imponibile, come possibile conseguenza dell’applicazione della flat tax, non c’è cosa migliore che verificare quale sia l’evasione fiscale nei Paesi europei ( in stragrande maggioranza Paesi dell’Est Europa ) in cui è applicata. Prendo come termine di confronto l’evasione fiscale in Italia, calcolata come percentuale del PIL, e che è pari al 27%.

Segnalo quindi che l’evasione fiscale nei Paesi considerati oscilla dal 29,2% della Lettonia, passa al 35% in Bulgaria, prosegue con il 52% in Russia e trova il suo apice nel 72,5% in Georgia. Ho citato solo alcuni dei Paesi, da quello minore a quello con il livello di evasione più elevato, ma ce ne sono altri che si collocano comunque tra il minimo ed il massimo. I dati credo siano eloquenti, il recupero dell’evasione attraverso la flat tax non ha fondamento e si presenta, a mio avviso, come una cortina che copre in realtà l’obiettivo, tipicamente neoliberista, di rendere i già ricchi ancora più ricchi; restituendo loro con un aliquota al 20% una consistente massa di miliardi ( si calcola circa 20 ).

Il risultato è un enorme aumento del livello delle disuguaglianze, già elevato nel nostro Paese.

Al riguardo, va sottolineato che tutte le ricerche economiche recenti ( T.Piketty, J. Stiglitz, F.M.I. e OCSE ma, in precedenza K. Galbraith e altri ) hanno evidenziato la forte correlazione negativa tra disuguaglianza e crescita economica, nonché la fallacia della tesi neoliberista che la disuguaglianza non avrebbe influenza sulla crescita. Gli studi hanno invece dimostrato, al contrario, che i Paesi più attivi nelle politiche di redistribuzione del reddito hanno la tendenza a crescere più rapidamente.

Questo mi porta a sottolineare come attraverso la liberalizzazione dei capitali, logiche neoliberiste che l’hanno cavalcata con modalità aggressive e spregiudicate – non contrastate o troppo debolmente contrastate da politiche fiscali degli Stati – hanno finito per creare una parziale distorsione del legame tra finanza ed economia reale; che ha visto la finanza imboccare strade in parte autonome ( c.d. “finanziarizzazione dell’economia” ): cioè la finanza produce rendite che vengono reinvestite in finanza per produrre nuove rendite, sottraendo ossigeno all’economia reale.

Sotto questo aspetto i grandi redditieri beneficiari dell’aliquota al 20% ringraziano Lega e M5S per le politiche fiscali Irpef che intendono adottare. Altri piangeranno per queste scelte.

Flat tax sul reddito delle imprese ( IRES) – è noto che questa già esiste ed è stata abbassata da precedenti Governi dal 27 al 24%. Ora si intenderebbe portarla al 15%.

Io non credo sia una priorità. In un mio Post:

È possibile un “Patto sociale” per quella che può considerarsi una “Questione sociale”?

A cui rinvio per un’analisi di dettaglio, ho sottolineato come uno dei problemi più acuti nel mondo produttivo sia l’alto costo del lavoro, determinato dal livello del “cuneo fiscale”, cioè l’alto differenziale esistente tra quanto costa all’impresa il lavoratore ed il netto in busta paga per quest’ultimo. Del resto la stessa Associazione degli industriali, per bocca del suo presidente ( Boccia ), ha sottolineato che il problema primo è la competitività e conseguentemente ritiene assai più utili interventi sul “cuneo fiscale” e, mi sentirei di aggiungere ( sulla scia di Giovanni Dosi ordinario di economia al Sant’Anna di Pisa ), sgravi sugli “investimenti produttivi”.

Reddito di inclusione versione M5S – considerato che al momento è di là dal venire, rimando alle osservazioni sulle due,tre cose da fare.

Due, tre cose da fare:

ne citerò forse qualcuna in più, cominciando in parallelo da quelle analizzate.

Revisione dell’articolazione aliquote Irpef- credo che una revisione dell’articolazione delle aliquote Irpef ( le 5 attuali sono forse troppe ) sia utile, unitamente ad una semplificazione di “deduzioni” e “detrazioni”, ma con un obiettivo opposto a quello della flat tax: cioè trasferire minor carico alle classi di reddito basse e medie.

In questo contesto va sottolineato che in Italia esiste una distribuzione strabica dell’assistenza sociale monetaria. Secondo una ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia sulla spesa sociale del 2014 ( e non sembra essersi di molto modificata nel 2017 ), si rileva in sintesi una distribuzione che assegna meno aiuti ai più poveri e quote maggiori alle classi dove si collocano famiglie che ne avrebbero, in senso relativo, meno bisogno perché titolari di redditi medio alti. La ragione sembrerebbe doversi individuare in troppi interventi di integrazione del reddito che limitandosi ad assumere come discriminante il solo livello di reddito, ignorano il “patrimonio”. In questa logica andrebbe forse anche rivisto anche il meccanismo del “bonus” degli 80 euro, che cubano però una spesa rilevante di circa 10 miliardi all’anno.

In una logica di revisione complessiva, che mi rendo conto complessa ma probabilmente necessaria per una migliore finalizzazione nell’uso delle risorse, vedo anche:

Tassa sui grandi patrimoni “immobiliari” e “finanziari” – con un’aliquota bassa ma strutturale, un segnale di partecipazione reale ed attiva al contesto socio – economico del Paese.

Agevolazioni alle imprese – come ho già detto io credo che le esigenze di competitività delle imprese, invece che con la flat tax al 15% sul reddito, trovino migliore risposta con interventi significativi sul “cuneo fiscale” – rinvio in dettaglio al mio Post – che ha come obiettivo un minor costo del lavoro ed un aumento del netto disponibile per i lavoratori, in un contesto di “Patto sociale”.

L’altro utile intervento, a mio avviso, è come detto uno “schema di sgravi” sugli investimenti produttivi.

Piano pluriennale per il “riassetto idrogeologico” – credo che una delle priorità sia quella di ritagliare le risorse necessarie per un progetto pluriennale del riassetto idrogeologico del Paese, che tante risorse ci costringe comunque a bruciare, nelle calamità, in interventi che sono solo tampone.

Esso ha anche due pregi, collaterali all’obiettivo, per nulla trascurabili: a) costituisce una imponente occasione di lavoro per molti anni, ridando fiato ad una edilizia in crisi, ma verso obiettivi di non consumo del territorio ma di bonifica

Reddito di inclusione sociale – trattandosi di un intervento che è stato rimandato, mentre è attualmente attivo il REI che ha pochi aspetti diversi, se non quello quantitativo pro-capite, dall’idea del M5S, la soluzione più razionale consiste nella prosecuzione del REI rafforzandolo, ove si recuperino le risorse. Il punto che invece non va trascurato è l’attenta valutazione degli effetti delle politiche sociali. Come ha opportunamente sottolineato S.Feltri “ Bisogna seguire il percorso delle famiglie beneficiarie con un serio studio che possa analizzare se e come cambiano lo stile di vita e le prospettive occupazionali di queste persone rispetto ad altre che, nelle stesse condizioni, non hanno ricevuto il REI”. Solo strumenti di verifica possono assicurare e misurare l’efficacia degli strumenti adottati rispetto agli obiettivi.

Confido che i temi trattati siano di una qualche utilità alla riflessione, sia pure critica, in considerazione delle argomentazioni e verifiche svolte.

Gianni Pernarella

Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.