Dopo il primo DPCM che ci ha imposto di stare a casa, ho scritto un primo post dal titolo “Ai tempi del coronavirus. Che cosa ci salvera?”

Ovviamente non mi avventuro su questioni legate ai dati sulla pandemia, perchè credo che sia troppo presto per parlarne con cognizione di causa, forse, anche per gli esperti.

Ho provato a capire che cosa stanno facendo gli italiani in casa, in ansiosa attesa di poter nuovamente uscire e socializzare.

Il 23 marzo scorso l'Associazione Oristano e Oltre ha pubblicato nella propria pagina Facebook l'intenzione di voler raccogliere la testimonianza di un lavoratore o una lavoratrice che in questi giorni operano a contatto con il pubblico. Non è stato, comprensibilmente, possibile.

Gli stessi soci dell'Associazione trovano difficoltà a scrivere sul nostro sito per vari motivi: la complessa situazione del lavoro da casa (smart working o lavoro agile, telelavoro) nei casi possibili, le lezioni da casa per chi insegna, l'aiuto ai propri figli nelle telelezioni (e.learning) e, forse, la comprensibile situazione di ansia che rende difficile scrivere.

Mi è venuto spontaneo provare a trovare in qualche quotidiano online o in qualche sito web degli spunti su come stanno vivendo i nostri concittadini questo periodo di domiciliazione forzata nella propria abitazione.

Alcuni dati interessanti li ho trovati sul Dataroom di Milena Gabanelli nel sito del Corriere della Sera. In particolare, mi ha incuriosito un pezzo di Milena Gabanelli e di Rita Querzè dal titolo “Coronavirus, smartworking obbligatorio per tutti ma ad 11 milioni di italiani manca la connessione”.

Da questo punto di vista, la normativa italiana prevede e regolamenta due possibilità: lo smartworking, detto anche «lavoro agile», oppure il telelavoro.

Con lo smartworking puoi decidere quando non vai in ufficio, lavori da dove vuoi, devi raggiungere un risultato ben preciso in un tempo concordato; per esempio, se un giorno hai un figlio che sta male, che, quindi, ha bisogno di essere accudito, puoi lavorare in smartworking da casa.

Con il telelavoro, invece, la scelta va fatta in modo che lavori sempre da casa e devi essere connesso durante tutto l’orario d’ufficio. Quest'ultimo sembrerebbe che abbia poco successo perché il datore di lavoro deve dotare il lavoratore di computer e fare una serie di verifiche sui requisiti dell’abitazione e, alla fine, viene utilizzato solo nei casi di disabilità o lontananza del luogo di lavoro.

Nel pezzo citato è scritto “Prima dell’emergenza Coronavirus a lavorare da casa in Italia erano in 570 mila, il 2% dei dipendenti, contro il 20,2 % del Regno Unito, il 16,6% della Francia e l’8,6% della Germania. Poi è esplosa la pandemia e in due settimane, ci comunica il Ministero del Lavoro, altri 554.754 lavoratori sono stati mandati a lavorare da casa. Numeri che crescono di giorno in giorno: i maggiori operatori telefonici segnalano che il traffico dati sulle linee fisse è aumentato in media del 20% con picchi del 50%. È il più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato nel nostro Paese. Per entrambe le modalità le aziende devono avere un server abilitato per le connessioni esterne, ovvero un sistema che attraverso password e autentificazioni consenta di accedere al desktop dell’ufficio e dialogare con i file dell’azienda. Insomma, stiamo affrontando un mega test che fa i conti con l’arretratezza tecnologica di tante aziende e un problema su tutti: in molte parti del Paese la connessione non tiene o non c’è.”

In tutta Italia la situazione, dal punto di vista della rete a banda larga e ultralarga, è disastrosa (per saperne di più vai al sito https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/coronavirus-smartworking-connessione-oltre-11-milioni-italiani-senza/deb45d24-66e8-11ea-a26c-9a66211caeee-va.shtml e https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/covid-19-arma-tecnologica-arginare-virus-contagio-gestire-dopo-crisi-come-funziona/b5f459e2-6c6b-11ea-8403-94d97cb6fb9f-va.shtml per “Covid-19: l’arma tecnologica per arginare il virus e gestire il dopo crisi. Come funziona” di Milena Gabanelli e Fabio Savelli).

La situazione più preoccupante è che non è dato sapere chi sta controllando e coordinando l'esecuzione dei lavori e che cosa.

Un altro pezzo interessante l'ho trovato in La Repubblica alla pagina della Tecnologia del 27 marzo scorso dal titolo “Solidali e più uniti, ma ci manca il contatto. Cosa provano gli italiani in quarantena“.

A descrivere che cosa e come sono cambiati gli italiani in tempo di isolamento per il coronavirus è un nuovo Rapporto realizzato dalla società Reply, che ha analizzato i big data e i “trend” di Google relativi alle ricerche fatte dall'Italia e da altri Paesi europei (Spagna, Francia, Germania) e la Gran Bretagna.

In esso viene scritto “Più del movimento, più della voglia di uscire, ci mancano gli abbracci, i baci, il contatto fisico con chi è distante. E in questo momento storico di estrema difficoltà esprimiamo il nostro senso di patria attraverso qualcosa di “nuovo”, la solidarietà. La pandemia da coronavirus in corso e le misure restrittive della libertà attuate dal nostro e altri governi mondiali nel tentativo di arginare i contagi hanno cambiato non solo le nostre abitudini ma anche i nostri desideri. Abbiamo nuovi bisogni e altri punti di riferimento maturati nell'emergenza, cambiano i sentimenti e gli interessi, mutano le ricerche online.”

Ancora “Dal 9 marzo, giorno di misure restrittive di isolamento applicate in tutto lo Stivale, gli italiani hanno gradualmente e costantemente aumentato pubblicazioni e menzioni relative alla mancanza di baci e abbracci e soprattutto, mostrano le curve del Report, alla mancanza di membri della famiglia o del partner. Più che l'impossibilità di potersi muovere, ciò che manca agli italiani sono dunque – dicono i dati Reply – l'opportunità di contatti reali con altre persone. Se nel colmare le distanze aumentano video chiamate, uso di Skype o Google Meet, in famiglia le attenzioni maggiori sono legate alla costruzione del senso di appartenenza al nucleo, che passa per “la realizzazione di cibo fatto in casa” (come biscotti, pane o pizza) e le attività da fare “tutti insieme” (come visione di film o giochi). Attraverso questi sentimenti, questi impegni casalinghi, e soprattutto tanta solidarietà “gli italiani si sentono così meno soli e parte di un Paese unito e più forte”. (per saperne di più link vai al sito https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2020/03/27/news/solidali_e_piu_uniti_ma_ci_manca_il_contatto_cosa_provano_gli_italiani_in_quarantena-252471244/).

Un altro pezzo interessante, apparso su La Repubblica del 28 marzo scorso alla pagina di Economia e Finanza dal titolo “La vita in quarantena: ecco cosa twittano gli italiani chiusi in casa per il coronavirus” recita, tra le altre cose, “il tweet più condiviso nei primi dieci giorni di quarantena (con ben 26.544 retweets) è stato un video che immortala uno dei tanti flashmob improvvisati sui balconi delle città del sud Italia. Gli account più ritwittati sono @AmbCina (circa 400 tweet ricondivisi 29.781 volte) e @RadioSavana (38.015 ricondivisioni di circa 1.000 tweet postati).” (per saperne di più link vai al sito https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/stili-di-vita/2020/03/28/news/la_vita_in_quarantena_ecco_cosa_twittano_gli_italiani_chiusi_in_casa_per_il_coronavirus-252536689/)

Il primo è che l'account ufficiale dell'Ambasciata cinese in Italia, particolarmente attiva nel promuovere la sua solidarietà attiva verso l'Italia.

RadioSavana, è, invece, un sito già accusato di diffondere fake news, che non si è di certo lasciato sfuggire un'occasione ghiotta come la pandemia per continuare la sua opera di proselitismo disinformativo. Quest'ultimo fatto deve, ovviamente, indurre chi di dovere a controllare con maggiore attenzione quanto avviene in rete.

Mi è sembrato molto interessante anche quanto pubblicato il 31 marzo scorso, dal punto di vista di questo pezzo, su TiscaliNews da Paolo Salvatore Orrù con il titolo “Cosa fanno online gli italiani in quarantena? I dati che fanno riflettere”. Al riguardo viene riportato quanto evidenziato dalla piattaforma di analisi della concorrenza per il web marketing SEMrush. Sono emersi questi aspetti:

– Rakuten Tv (un servizio di streaming video on demand) è la piattaforma con il più alto tasso di incremento a marzo. In controtendenza, invece, Rai 1, che perde un 15% di traffico;

– grande interesse anche per le visite virtuali ai musei;

– molti italiani stanno passando la quarantena ai fornelli, sfornando manicaretti;

i nostri connazionali stanno molte ore davanti a tivù, computer e tablet a guardare film e serie TV su piattaforme in streaming

– l’altra grande passione è lo sport. Molti hanno acquistato da Amazon materiale ginnico. Gli italiani vogliono mantenersi in forma.

Da quanto scritto è evidente che la risposta degli italiani rispetto alla quarantena per il coronavirus dal punto di vista della socializzazione è molto interessante. Oggi è prematuro individuare cosa succederà dopo. Mi sento però di fare alcune considerazioni:

– siamo decisamente degli animali sociali ed empatici;

– quando dobbiamo difenderci non ci batte nessuno. Per dirla in gergo sportivo, quando serve il catenaccio riusciamo a fare sempre goal;

– siamo capaci di avere un alto senso delle Istituzioni e un forte senso civico.

L'ultima considerazione ne richiama alcune altre:

– in vista della ripresa dobbiamo anche imparare a giocare all'attacco, preparando subito in maniera puntuale un piano a breve, medio e lungo termine;

– dobbiamo investire molto di più di quanto non abbiamo finora, in Sanità, Scuola, Ricerca, nuove tecnologie e Stato Sociale. Nella Sanità dovremo fare scorte adeguate di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e di attrezzature sanitarie pronte per l'emergenza;

– non possiamo più tollerare le enormi differenze economiche e sociali, che, anche in corrispondenza di questa vicenda, hanno portato molti disperati a tentare di assaltare dei supermercati per fame, con il fortissimo rischio che le mafie trovino gioco facile nell'assoldarli, presentandosi, tra l'altro, come benefattori.