di Elisa Dettori

Come tutti sappiamo, la pandemia è un evento totalizzante che ha oscurato altre criticità, rilevanti sia dal punto di vista sanitario – sono state trascurate tutte le altre patologie e la prevenzione – che lavorativo.

Del primo aspetto, tutti hanno parlato, lamentando il proprio disagio. C’è stata una forte mobilitazione e, gradualmente, la macchina della Sanità è ripartita.

Del secondo aspetto, il lavoro, si è invece parlato poco e male, soprattutto per quanto concerne il blocco dei licenziamenti, che non rappresenta certo una soluzione ma solo il rinvio di un problema che interesserà migliaia di persone e getterà nello sconforto le rispettive famiglie.

Non mi soffermo sulle questioni più tecniche relative alla misura adottata. Voglio farlo sull’aspetto che riguarda l’atteggiamento che molti imprenditori e superiori stanno assumendo nei confronti dei propri dipendenti e sottoposti.

Mi riferisco nello specifico a chi, non potendo licenziare ma dovendolo fare in un periodo di calo di redditività, sta alimentando mobbing, bossing e altre forme di pressione nei confronti degli assunti a tempo indeterminato che, allo stato attuale, sono considerati in molti casi semplice “zavorra” di cui disfarsi.

I lavoratori, già stremati dalla cassa integrazione, dalle difficoltà, dallo stress provocato dall’incertezza e non solo, arrivano quindi a dimettersi volontariamente, rinunciando a ogni tutela.

In sostanza, si elude il blocco, portando allo sfinimento i dipendenti, fino a quando non sono loro stessi a mollare.

I fenomeni citati rappresentano una pratica dannosa, che altera l’equilibrio fisico e psichico dell’individuo (burnout), con conseguenze anche gravi.

Fin da subito, sono stati evidenziati diversi risvolti psicologici della pandemia: depressione, paura, isolamento e non solo. Se ne è parlato tanto nel contesto dello smart working, sottolineando le difficoltà ad esso annesse e avanzando, giustamente, proposte di garanzie adeguate.

Si è parlato molto poco – o nulla – di ciò che accade in presenza, sul posto di lavoro, dove si è più esposti e fragili.

I mesi di pandemia, difficili per chiunque, con tutti i buoni propositi disseminati nel tempo non hanno spazzato via le vecchie abitudini: permane la diseguaglianza tra chi può considerarsi un privilegiato e chi, in trincea, viene lasciato da solo.