Le elezioni del 4 marzo 2018 hanno segnato un passaggio epocale nel sistema politico italiano, ponendo una serie di questioni politiche, sociali ed economiche. Tra le tante questioni, le seguenti:

  • Per quale motivo in Italia i partiti “populisti” ottengono sempre maggiori consensi?
  • Perché in Italia chi governa viene penalizzato nel momento del voto?

Probabilmente non c’è una risposta univoca a entrambi i quesiti, si può anzi dire che tali quesiti stimolano riflessioni più profonde su temi collegati.

Il primo tema è l’offerta elettorale in Italia e cosa la influenza. L’offerta dipende dal contesto, e in particolar modo dalle fratture sociali del sistema politico di riferimento. La frattura prevalente, che sembra imporsi rispetto alla classica dicotomia sinistra/destra, è quella che contrappone populisti e istituzionalisti, o sovranisti ed europeisti.

Propongo di chiamarla dicotomia “sistemico/antisistemico”. Da un lato una serie di compagini che, pur riconoscendo le criticità del sistema politico, propongono di riformarlo. Dall’altro lato i partiti/movimenti che propongono il radicale stravolgimento del sistema per come lo si conosce.

Questa dicotomia è sempre stata presente nel sistema italiano, ma solo negli ultimi anni le forze antisistemiche concorrono alla vittoria elettorale fino ad arrivare, complessivamente, alla maggioranza dei voti.

Il secondo tema rilevante riguarda le modalità di governo delle istituzioni. In una società in cui la complessità è aumentata – a causa dell’incremento esponenziale degli strumenti informativi, della qualità delle informazioni, delle tecnologie a disposizione, dei concorrenti nel mercato globalizzato – la velocità di esecuzione e le competenze tecnico/scientifiche super specialistiche sono elementi essenziali per i decisori politici. Tutte le decisioni politiche e sulle politiche dipendono da calcoli e ragionamenti complessi, che non è possibile comunicarecompletamente e in maniera esaustiva all’elettore e al cittadino. Non importa l’ambito di interesse, l’informazione su quanto è stato fatto sarà sempre lacunosa rispetto alla logica che sta dietro la decisione.

In un contesto di tale specializzazione e complessità, l’elettore, anche quello più istruito, si informa attraverso strumenti immediati e il messaggio è forzatamente semplificato, talvolta distorto. Così, mentre il decisore non è in grado di comunicare efficacemente, chi critica può veicolare il messaggio in maniera efficace e in tempi brevissimi, accaparrandosi gran parte dei consensi.

In questo modo gli strumenti di informazione, per la loro stessa natura, avvantaggiano chi contesta rispetto a chi cerca di costruire la narrazione di una decisione complessa. Non è necessariamente la loro finalità, ma è l’esito che producono.

Con tale affermazione non si intende sostenere che chi governa ha sempre ragione o ha maggiore capacità analitica, è però innegabile che chi governa non dispone degli strumenti necessari a comunicare efficacemente rispetto a chi, opponendosi, contesta.

Alla luce di quanto detto e tornando ai quesiti, è possibile rispondere alla domanda sul perché i partiti populisti, o meglio antisistema, in Italia, hanno sempre maggiori consensi?

Una possibile spiegazione è che in Italia la frattura tra i cittadini e le istituzioni ha raggiunto i livelli di guardia. I cittadini subiscono le angherie di un sistema ingiusto, inefficace, tentacolare e avverso al cambiamento, e non sono più disposti a credere a ipotesi di riforma. L’azzeramento dello status quo, l’abbattimento della burocrazia, del fisco e dei vincoli dell’UE sembrano a sempre più persone l’unica soluzione. Le proposte moderate, di sedicente buon senso, non fanno presa, semplicemente perché sono proposte da decenni e non hanno portato i risultati sperati. Allora tanto vale optare per le soluzioni più radicali, quelle che intercettano i disagi della vita quotidiana e propongono soluzioni epocali, definitive.

Vista la propensione nei confronti dei partiti “antisistema”, perché chi governa, invece, paga elettoralmente?

Perché chi governa affronta, a prescindere da quanto promesso, la complessità del mondo, dal punto di vista delle sfide esterne (globalizzazione, corruzione, vincoli di bilancio etc), e interne (burocratizzazione, interessi particolari, contrasti politici etc.). Il governante, alla luce di tali complessità, si istituzionalizza, agisce forzatamente rispetto alle regole delle istituzioni, fa fronte alla complessità delle decisioni da prendere e ha meno efficacia comunicativa, perdendo inesorabilmente consensi.

Le informazioni inoltre sono aumentate in maniera esponenziale, permettendo a tutti di avere un’opinione. Tale opinione è formata sulla base di un gran numero di informazioni, di numero molto maggiore rispetto al passato e con più dettagli. Eppure non si tratta spesso di informazioni accurate, sia perché sono potenzialmente distorte, sia perché i fenomeni sociali/politici/economici sono molto più complessi di un tempo.

Per questi motivi le classi dirigenti degli ultimi anni si consumano molto più velocemente che in passato. Mentre tutte le massime autorità dello Stato auspicano stabilità, governabilità e moderazione, l’elettore è spinto dalle informazioni a volere costantemente un cambiamento, attraverso l’abbattimento di élite che, nello stesso momento in cui assumono la carica, cominciano a perdere consensi e capacità attuativa.

In un contesto in cui la politica è fragile a causa della complessità intrinseca della realtà e alla volontà vorticosa di cambiamento dell’elettorato, gli unici poteri inamovibili sono quelli tecnico/burocratici, che, agendo sempre secondo i propri schemi, alimentano ancora di più il malcontento, innescando un circolo vizioso.

Come si risolve questo problema? Chi dovesse sapere la risposta probabilmente avrebbe la chiave per superare la crisi della democrazia rappresentativa.

Riccardo Scintu

Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.