L’intervento di Elisa Dettori del 31/10 2018) sulle politiche sociali di Mussolini e in particolare sulle politiche demografiche e sul ruolo della donna, costituisce per me un importante motivo di partecipazione all’argomento. Nel mio precedente intervento avevo preso l’impegno di narrare una onna nella societàseconda storia breve di vita, per un arricchimento dell’argomento. E, di fatto, quando ho letto il testo di Elisa, mi sono detto: << questo è quanto di meglio poteva esserci per dare a quanto io ho trattato sul piano antropolotico un supporto socioculturale che completa egregiamente il quadro del ruolo e della condizione della donna prima, durante e dopo il fascio. Questa testimonianza di Loi Pastorella risale alla fine degli anni sessanta del secolo scorso ed è concentrata tutta sulla conoscenza del ciclo mestruale e della nascita (non del parto) da parte delle donne.

Noj evitavamo anche di nominarla la mestruazione. Quando ne parlavamo ci chiedevamo semplicemente: << Ti è venuta quella cosa?>>. A me la prima volta è successo al fiume, acqua fino alle cosce. Avevo dodici anni. Non mi sono spaventata perché quando andavo a lavare i panni della famiglia dei padroni presso cui lavoravo, vedevo certi stracci e panni come erano conciati, ma non capivo da dove potesse venire quel sangue. Curiosa, ne ho parlato con qualche amichetta fidata e ho cominciato a sapere qualcosa, per cui quando è successo a me non ho avuto paura. Non ho detto niente a mia madre, mi sono arrangiata da sola. Lei quando si è accorta, dopo tre mesi, mi ha detto di stare attenta, di tenermi bene in modo che nessuno si accorgesse, perché era vergogna farsi trovare così. Non tutte usavano gli stracci. C’era chi usava solo la camicia rimboccata e, secondo come, si vedeva»se il sangue era molto. Io quando ero al lavoro stavo molto attenta, mettevo panni grossi a più strati e se mi accorgevo che il sangue era molto, mi appartavo in un punto dove non mi vedesse nessuno, avevo gli stracci puliti, li cambiavo e quelli imbevuti di sangue li interravo per bene, in modo che nessuno se ne accorgesse. Se mi succedeva in casa mi appartavo nel cesso. Anche per lavarci dovevamo stare molto attente, perché nessuno si doveva accorgere. Io mi lavavo a giorni alterni, non tutti i giorni, mi portavo una bacinella in camera, chiudevo la porta a chiave e mi arrangiavo. Arrivata una certa età non ci facevamo più caso, perché a quel punto ciò che dovevamo sapere lo sapevamo. Allora più che altro parlavamo di qualche caso particolare, non so, di qualcuna a cui era mancata la mestruazione e si era ammalata di tubercolosi. Non lo so se sia vero, ma queste cose le sentivo. Dicevano anche che una donna che aveva avuto la prima mestruazione vicino al fuoco non doveva toccare fiori e piante perché si sarebbero seccati, non poteva andare a visitare una puerpera perché questa rischiava di perdere il latte e allora mettevano sotto il letto un treppiede rovesciato e un bulbo di scilla. Sentivo dire anche che i maschi riconoscevano una donna con quella cosa perché sotto gli occhi la pelle assumeva un colore bluastro, oppure perché nelle unghie si formavano come delle strisce rosse sottili. Io queste cose non le ho mai viste, forse è la gente studiata che riesce a vederle.

A ventun anni non sapevo niente di come nascevano i figli. Stavamo raccogliendo le olive e c’erano due amiche che sembrava avessero diavoli. Si vede che queste avevano qualche libro e leggevano, perché mi dicevano un sacco di cose e quasi mi facevano piangere dalla paura: mi dicevano come avrei avuto i figli una volta sposata e io non ci volevo credere, perché ero convinta che sposarsi non c’entrasse niente col fare i figli. Io pensavo che venissero dal cielo, perché nostra madre a noi diceva così, anche da grandi. Ricordo come se fosse oggi di quel giorno, noi già donne fatte e più, in cui a tavola ci siamo lamentate perché a nostro fratello aveva dato una tazza piena di caffè e a noi molto meno. Lei ci rispose, molto persuasiva: << Eh, poveretto, quello l’ha trovato tuo padre lungo la strada per Nurachi, dentro una scatola, ne ha avuto compassione e l’ha portato a casa. Per questo bisogna accudirlo di più. Voi, invece, siete state trovate qui in casa>>. Noi a tutto questo credevamo; io avevo sedici anni e pensavo: << Ma si, dal momento che l’ha trovato dentro una scatola, poveretto, per non lasciarlo lì buttato»>>. A tal punto non sapevo niente a ventun anni, che stavo per lasciare il mio fidanzato quando raccogliendo le olive mi erano state dette quelle cose su come si facevano i figli. Se non l’ho lasciato è stato solo per la vergogna, perché sarebbe stato uno scandalo, così ho rischiato: <<Come viene viene>> – mi sono detta. Tutto questo sembra incredibile. E adesso, invece, già dalla prima elementare fanno sapere tutto ai bambini. E così mettono malizia. Quando è nata mia sorella io avevo dieci anni e non mi sono accorta di niente; mamma ci diceva sempre che l’aveva comprata. E quando ero fidanzata io non mi sono buttata alla cieca. C’ero quasi undici anni fidanzata, non c”˜ero certo un giorno, ma ho avuto sempre paura e non mi sono mai lasciata andare.

Per dirti come eravamo in casa, io vedevo sempre mio padre coricato sulla stuoia nella saba. Probabilmente quando noi andavamo a letto allora lui andava al letto di mia madre, per non far vedere a noi che dormiva con lei.

Nando Cossu

Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalitàe prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014