Nel Post “Reddito di cittadinanza, Reddito di inclusione e politiche attive del lavoro: eliminare i punti deboli per un giusto equilibrio“ affermavo che sia il reddito di cittadinanza (ancora disegno di legge), sia il reddito di inclusione (già in vigore) intendono fornire un sostegno al reddito, condizionato all’obbligo della ricerca di un lavoro; mirano cioè all’inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari con l’obiettivo di sottrarli alla condizione di povertà.

Sempre nello stesso post rilevavo che i punti deboli del Reddito di cittadinanza sono quattro: la governance delle politiche attive del lavoro, gli importi previsti, i beneficiari e i requisiti e, soprattutto, le fonti di finanziamento sulle quali vorrei ulteriormente soffermarmi in questo Post.

Il ddl dei 5 Stelle prevede un Fondo per il reddito di cittadinanza alimentato mediante il versamento degli importi derivanti da maggiori entrate e da riduzioni di spesa. facendo ricorso a 20 voci diverse.

Se e quando il dl di legge dovesse cominciare il suo iter legislativo, ogni voce darebbe luogo a grandi discussioni nel suo corso di approvazione.

Una volta il ddl approvato, queste fonti di finanziamento dovrebbero superare le procedure, in primo luogo amministrative, per diventare risorse effettive.

La certezza che queste osservazioni sono corrette è documentata dal fatto che lo stesso Di Maio non crede alle fonti di finanziamento del ddl e ha iniziato ad affermare che le risorse “andremo a chiederle all’Europa”

Il ministro fonda questa speranza sulla possibilità dell’apertura di un dialoga nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l'utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo (FSE).

La prima osservazione è che, poiché le somme previste nella Programmazione 2014.2020 sono già impegnate, le risorse del FSE non possono essere che quelle della Programmazione 2021-2027; non prima quindi di tre anni.

La seconda è che, anche ammesso che si ottenesse tutto il 20% del FSE europeo, si tratterebbe di circa quattro miliardi in sette anni tra fondi europei e nazionali; una cifra assolutamente insufficiente a fronte di un fabbisogno sottostimato di 17 miliardi annui.

In questa situazione mi sarei aspettato che il governo gialloverde seguisse la soluzione che parecchi esperti hanno suggerito: utilizzare lo strumento del Reddito di inclusione (REI), già in vigore da un anno e diventato universale da luglio, migliorarandolo e potenziandolo.

È evidente a tutti che gli importi non sarebbero quelli previsti dal ddl dei Stelle e che diminuirebbe la platea dei beneficiari, ma il RDC diventerebbe realtà con 5-7 miliardi.

Ma la propaganda è più forte del buon senso e quindi Lega e 5 Stelle hanno pensato a una terza soluzione, affermando che il RDC si finanzia da solo.

Secondo la formulazione avanzata dall’esponente del M5s, Pasquale Tridico, consulente di Di Maio, poi ribadita da Di Maio in una Audizione al Senato, il meccanismo funzionerebbe nel modo seguente: “grazie alla nostra misura almeno 1 milione di persone che ora non cercano lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (inattivi “scoraggiati”) verranno incentivati alla ricerca del lavoro con l’iscrizione ai Cpi e andranno ad aumentare il tasso di partecipazione alla forza lavoro. Questo ci permetterà di rivedere al rialzo l’output gap, cioè la distanza tra il Pil potenziale dell’Italia e quello effettivo, perché 1 milione di potenziali lavoratori saranno di nuovo conteggiati come disoccupati. Se aumenta il Pil potenziale possiamo mantenere il rapporto tra deficit e Pil potenziale, cioè il “deficit strutturale”, spendendo circa 19 miliardi di euro in più di oggi, più dei 17 miliardi necessari“.

Non mi addentro nei ragionamenti per confutare questa tesi perché lo fanno con molta maggiore competenza e chiarezza due economisti di primo livello a cui rimando: Tommaso Monicelli nel Post Reddito di cittadinanza o gioco delle tre carte? e Andrea Garnero nel Post “Ma il reddito di cittadinanza non si finanzia da solo”, di cui riporto le conclusioni:

“In conclusione, per il momento appare improbabile che il reddito di cittadinanza possa auto-finanziarsi sfruttando le arcane regole del calcolo del pareggio strutturale, a meno che chi lo propone immagini che l’introduzione del reddito di cittadinanza porti a un boom immediato, che permetta a tutti i nuovi iscritti di trovare lavoro nello spazio di un paio d’anni al massimo.”

Arrivo infine alle mie conclusioni: se il RDC no può essere finanziato con le fonti indicate nel ddl dei 5Stelle, se i fondi europei sono assolutamente insufficienti e disponibili solo fra tre anni, se il RDC non si finanzia da solo, come e quando potrà essere attuato?

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.