Su questo tema ho intenzione di scrivere due pezzi: un primo di considerazioni generali e un secondo su ulteriori dettagli.

L’idea della Flat Tax è nata negli anni Settanta negli ambienti ultraconservatori americani, propugnata da Milton Friedman e dai suoi seguaci. Il segno politico di quella proposta era il vecchio “affama la bestia” di memoria reaganiana. Un modo per limitare drasticamente le risorse, il ruolo e le possibilità di intervento dello Stato nella sfera economica e sociale.

L'Istituto Bruno Leoni, per bocca anche dei professori Antonio Martino e Nicola Rossi, ha spiegato che l'aliquota unica (Flat Tax) non sarebbe contraria al dettato costituzionale, come invece sostenuto dai suoi critici.

A detta di questo Istituto la Costituzione non impone un'aliquota progressiva, ma un sistema fiscale che sia progressivo nel suo complesso, un obiettivo perseguibile anche attraverso una radicale semplificazione fiscale ed una articolazione di aliquote che sia meno penalizzante per la creatività imprenditoriale.

Inoltre, secondo questa impostazione, la ratio della flat fax è che se tutti devono pagare meno tasse, anche chi non le ha mai pagate inizierebbe a farlo. Una tassa piatta applicata in una misura percentuale fissa del 15 – 20 % innescherebbe, in sostanza, un meccanismo virtuoso capace di ridurre il fenomeno dell'evasione.

Il Titolo III della Parte I della Costituzione, dedicato ai “Rapporti Economici”, infatti, contiene una disposizione – il secondo comma dell’art. 53 – che riflette una scelta basilare di politica fiscale: “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Secondo la posizione dell'Istituto Leoni, il significato della frase va inquadrato in stretto collegamento con il principio di “eguaglianza sostanziale”, sancito nel comma II dell’articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. La scelta di un sistema tributario “informato a criteri di progressività”, dunque, è finalizzata a una forma di riequilibrio sociale, per cui ampie disparità nel reddito dei cittadini sono considerate “ostacoli di ordine economico” tali da impedire libertà ed eguaglianza dei cittadini nonché il pieno sviluppo della persona umana. L'interpretazione che l'Istituto da è legata a due aspetti. In primo luogo si fa presente che il testo non menziona uno specifico tributo, ma si riferisce, genericamente, al “sistema tributario”, cioè al complesso di tutte le forme di prelievi che possano essere considerati tecnicamente tributi. In secondo luogo, si afferma che il Costituente non prescrive esattamente un sistema tributario “progressivo” ma “informato a criteri di progressività”, per cui non si è davanti a un vincolo costituzionale a favore di aliquote progressive. Secondo L'Istituto Leoni, è evidente il contrario: con l’uso della parola “criteri” – al plurale – la Costituzione prende atto dell’esistenza di più strade logicamente percorribili per giungere all’obiettivo di un sistema tributario tendenzialmente progressivo, come confermerebbe anche la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Dal punto di vista economico, come recentemente ricordato dall'economista Nicola Rossi, la progressività non è necessariamente connessa con la struttura “a scalare” delle aliquote. In sostanza, dal punto di vista del diritto costituzionale, il testo della Legge Fondamentale non dà per scontato che l’unica tecnica per raggiungere la progressività debba necessariamente essere la presenza di un sistema di aliquote crescenti. Si può legittimamente cercare di ideare strutture tali da assicurare differenti “criteri” di progressività. Si potrebbe realmente immaginare una progressività basata non più su un complesso di percentuali, ma su una flat tax unita a deduzioni e detrazioni progressive, non fisse e né meramente proporzionali. Tale pare essere la proposta avanzata dall'attuale Governo gialloverde e, in particolare, dalla Lega di Salvini.

Ci sono, però, molti esperti, come anche le componenti progressiste, liberali e di sinistra della cultura e della politica italiana, che sostengono che l'introduzione in Italia della Flat Tax non tiene conto adeguatamente dei principi costituzionali sulla progressività dell'imposizione fiscale contenuti negli articoli 2 e 53 della Costituzione. In sostanza, chi è fautore di questa posizione ritiene che l'attuale politica del Governo è caratterizzata dall’assenza di orientamenti in nome di una presunta priorità del profilo tecnico delle vicende fiscali e tributarie: si affrontano i problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti organici, pensando solo al consenso elettorale immediato, con delle giustificazioni della scelta della Flat Tax quantomeno ardite e “un arrampicarsi sugli specchi”.

La posizione critica nei confronti della Flat Tax parte dal principio che il dovere fiscale è compreso fra i doveri costituzionali. Tale principio è ignorato dal Governo. La proposta della Flat Tax non ha altra giustificazione al di fuori della critica del sistema fiscale. La bontà della sua proposta starebbe nel suo profilo tecnico non nelle premesse politiche e costituzionali. La proposta della Flat Tax persegue un obbiettivo politico di attrazione del consenso, attraverso la discutibile strada tecnica.

L’obbiettivo sembra non la giustizia fiscale ma vuole essere l’eliminazione dello stato sociale voluto dall’art. 2 della Costituzione. Secondo l’art. 2 della Costituzione «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Il dovere di concorrere alle spese pubbliche (secondo dottrina e giurisprudenza costituzionale) è un dovere di solidarietà politica, economica e sociale, che richiede il criterio della progressività.

L’attuale momento politico è caratterizzato da un forte individualismo (cui si ispira la Flat Tax). È lontana quella “nuova stagione dei doveri” senza la quale, diceva Aldo Moro, l'Italia non si salverà. La solidarietà di cui parla l’art. 2 della Costituzione è proprio quella unità morale e politica del Paese senza la quale è difficile che la nostra democrazia possa sopravvivere. In sostanza, si afferma un nuovo modo di intendere la libertà dei singoli: le situazioni derivanti dai diritti di libertà trovano una naturale limitazione nei doveri pubblici ad essi collegati. Il concorso alle spese pubbliche deve essere commisurato alla capacità contributiva. L’utilizzazione dell’imposta a fini economici e sociali redistributivi, in particolare, realizza il principio della capacità contributiva.

L’art. 53 sembra dare una precisa indicazione programmatica quando al secondo comma prescrive «che il sistema tributario è improntato a criteri di progressività» ed è evidente che un tale sistema, non potendo tutte le imposte essere progressive in quanto la progressività tecnicamente si addice solo ad alcune di esse, dovrebbe fondarsi principalmente su quelle imposte che per loro natura si prestano ad un meccanismo di aliquote progressive. La Costituzione, come affermava l'economista, accademico e politico Ezio Vanoni, deve qualificare la potestà tributaria più in senso politico che rigorosamente tecnico e giuridico. La posta in gioco, pertanto, è elevatissima, per cui, secondo questa impostazione, se il quadro costituzionale e la politica sono quelli descritti, toccare l’art. 2 della Costituzione vuol dire mettere in discussione lo Stato democratico.

Di seguito cerco di evidenziare gli aspetti salienti della proposta di Flat Tax avanzata dal Governo gialloverde.

In generale, L'IRPEF (Imposta sui Redditi delle PErsone Fisiche), oggi regolata dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), emanato con DPR 22 dicembre 1986 n. 917, è calcolata in base al reddito di ciascun contribuente ed è strutturata in cinque aliquote organizzate sul principio di progressività: a partire dal secondo scaglione le aliquote si applicano cioè solo sulla parte di reddito che eccede quella dello scaglione precedente. Si parte innanzitutto dalla “no tax area” dei redditi fino a 8.174 euro. Poi iniziano gli scaglioni. Fino a 15 mila euro annui scatta l'aliquota al 23%, da 15.001 a 28 mila euro al 27%; da 28.001 e 55 mila euro al 38%, da 55.001 a 75 mila euro al 41%; mentre oltre i 75 mila è al 43%.

La Legge 28 dicembre 2015, n. 208, al comma 61, aveva sancito una modifica all’art. 77 del TUIR stabilendo che, a decorrere dal 1° gennaio 2017, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2016, l’aliquota IRES (Imposta sui REdditi delle Società, riguardante Società di capitali, Società cooperative, Società di mutua assicurazione, Enti pubblici e privati,inclusi i Trust, che svolgano attività commerciale o meno, Entità con o senza personalità giuridica che non risiedono sul territorio italiano e anche altri soggetti agevolati), precedentemente pari al 27,5%, veniva portata al 24%. Una parziale Flat Tax esisteva, quindi, già prima della proposta Salvini.

La manovra economica 2019 del Governo gialloverde aveva esteso il regime forfettario del 15% a tutte le partite IVA fino a 65 mila euro di reddito e aveva introdotto la “mini-IRES”. Su quest'ultima, prima che venga applicata interviene il Decreto Crescita, che riporta la situazione al sistema in vigore prima della Legge di Bilancio 2019. Il Decreto Crescita 2019 riporta in vita le regole previste ai tempi del superammortamento e dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica). Il superammortamento era stato introdotto dalla Legge di bilancio 2016, valido fino a dicembre 2018, non prorogato dalla Legge di bilancio 2019, era utilizzato per incentivare gli investimenti in beni strumentali nuovi, si traduceva in una maggiorazione del costo di acquisto degli stessi, del 30% o 40%. L'ACE è un'agevolazione fiscale per le imprese che reinvestono gli utili in azienda ed era stato introdotto dal “Salva Italia” nel 2011.

Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 3 marzo 2018 il Centrodestra aveva creato tante aspettative nei cittadini con la promessa di attuare la Flat Tax. La promessa conteneva l'impegno a ristrutturare completamente l’imposta principale del nostro sistema fiscale, l’IRPEF, dovuta dai lavoratori dipendenti, dai pensionati, dai lavoratori autonomi e dagli imprenditori, che, come già scritto, ha aliquote variabili dal 23 al 43%, con diverse deduzioni e detrazioni di imposta, introducendo un’unica aliquota e un’unica deduzione.

In particolare, Matteo Salvini promise che se la Lega fosse andata al Governo avrebbe prodotto una riforma fiscale con una sola aliquota al 15%, la famosa Flat Tax. In questo si differenziava da Forza Italia, che proponeva sempre un’unica aliquota, ma al 23%. La proposta leghista, secondo i conti fatti da molti economisti, sarebbe costata, se applicata per intero, più di 40 miliardi. Un disegno ambizioso, ma pericoloso per tutti coloro che ritengono essenziale che lo Stato fornisca beni e servizi pubblici essenziali anche con le entrate della fiscalità generale, in particolare Sanità e Istruzione, e che hanno a cuore il valore costituzionale della progressività, che la Flat Tax all’italiana, se non azzera riduce fortemente. Non a caso, come già scritto, l’unica proposta coerente di Flat Tax per l’Italia era stata formulata dall’iperliberista Istituto Bruno Leoni, che, per finanziarla, prefigurava una drastica riduzione dello Stato sociale e propugnava l’idea di un Sistema Sanitario Pubblico da cui i ricchi potessero esimersi e riservato alle famiglie non abbienti.

Oggi la Lega di Salvini è al Governo con il Movimento 5S e in concomitanza della campagna elettorale per le europee di maggio prossimo rispolvera l'dea di Flat Tax (che è una dual tax), accompagnandola con il quoziente familiare, la revisione delle agevolazioni e il taglio dell'IRES. Con la messa a punto del DEF (Documento di Economia e Finanza), le tasse tornano ad essere protagoniste del dibattito politico, con ipotesi e polemiche varie che, come sempre, in quest'ultimo anno occupano la scena mediatica.

Salvini insiste sulla Flat Tax e il Movimento 5S frena, non avendo una posizione chiara sul tema, andando, come spesso gli capita, a rimorchio della Lega, avanzando una generica proposta di subordinazione del tutto a una richiesta di attuarla solo sui redditi del ceto medio.

Nel frattempo è intervenuta l'approvazione del Governo del DEF, che riporta Lega e Movimento 5S alla realtà: crescita dello 0,2 nel 2019, disoccupazione in aumento all'11%, calo dell'occupazione, aumento del debito pubblico al 132,70 % del PIL, aumento del rapporto deficit/Pil al 2,4%, pressione fiscale al 42,2%, necessità di trovare i 23 miliardi di euro per disinnescare l'aumento dell'IVA per il 2020 e almeno 12 ulteriori miliardi per l'attuazione della proposta di Flat Tax, così come la propone Salvini. Morale della favola: tutto spostato non si sa a quando, con l'impegno a riaffrontare la proposta nella predisposizione del Bilancio per il 2020 in autunno, con gli elettori che possono ancora illudersi di pagare meno tasse in una situazione di congiuntura economica molto negativa, con i dati forniti dal Governo ancora ottimisti, nonostante il fatto che sia stato costretto a riconoscere che non ci sarà un nuovo boom economico, come promesso da Di Maio, con il 2019 che non sarà “una anno felicissimo”, come promesso dal premier Conte, che si è trovato costretto a declassare la sua promessa a semplice battuta.

Non si può pensare alla Flat Tax con la situazione che ci ritroviamo. L’inadeguatezza della proposta è dimostrata dalla valutazione delle aliquote che l’imposta dovrebbe avere se volesse mantenere i conti in ordine (35% – 40% ): due aliquote fortemente punitive per i piccoli redditi. La proposta pertanto è inutile, a meno che, come molti osservano, i proponenti perseguano un obbiettivo molto più modesto: concorrere alla campagna elettorale per orientare l’elettorato in una certa direzione. Resta, comunque, il problema della attuale tassazione progressiva e dell’intero sistema fiscale, soprattutto per quanto concerne la sopportabilità, ma questo merita un approfondimento, che non è oggetto di questo pezzo.

A queste ultime considerazioni aggiungo il fatto che l'introduzione della Flat Tax potrebbe portare la Sardegna ad avere minori entrate per circa 700 milioni all'anno, come riportato in un pezzo de L'Unione Sarda del 22 giugno 2018.

In definitiva, sono convinto, come molti, che la Flat Tax servirà a togliere soldi ai poveri per darli ai ricchi.

In un prossimo post proverò a motivare questa mia convinzione, anche con l'aiuto di quanto esposto in tal senso da esperti economici.

Giampiero Vargiu

Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Società di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili.