Nel Post “Prima gli italiani” concludevo affermando che, accettare o meno questo slogan, era un preciso spartiacque fra un sistema di valori fondato l’uno sull’egoismo personale, di regione e di nazione e l’altro basato sull’uguaglianza e la solidarietà a tutti i livelli.

Un esempio concreto di queste affermazioni è la sentenza n. 107 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della legge n. 6 del 2017, che prevedeva, come titolo di precedenza per l’accesso agli asili nido, il requisito della residenza o dell’attività lavorativa nella regione per almeno 15 anni.

La Consulta afferma che gli asili nido hanno una funzione educativa, a vantaggio dei bambini; una funzione socio- assistenziale, a vantaggio dei genitori che non hanno i mezzi economici per pagare l'asilo nido privato o una baby-sitter; una funzione ancora di favorire l’accesso delle donne al lavoro, finalità che ha peraltro una specifica rilevanza costituzionale, visto che la Costituzione assicura la possibilità per la donna di conciliare il lavoro con la «funzione familiare».

Per queste ragioni la previsione della residenza protratta così a lungo come titolo di precedenza per l’accesso agli asili nido, anche per le famiglie economicamente deboli, «si pone in frontale contrasto con la vocazione sociale di tali asili».

Questo servizio deve rispondere direttamente alla finalità di uguaglianza sostanziale fissata dall’articolo 3, secondo comma, Costituzione, perché permette ai genitori privi di adeguati mezzi economici di svolgere un'attività lavorativa.

La Consulta ribadisce che «il servizio, pertanto, elimina un ostacolo che limita l’uguaglianza sostanziale e la libertà dei genitori e impedisce il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei genitori stessi alla vita economica e sociale del Paese».

Per questa ragione, continua la Corte, il servizio degli asili nido dovrebbe essere destinato in primo luogo alle famiglie in condizioni di disagio economico o sociale, come del resto previsto dalla disciplina statale, che stabilisce il principio dell’accesso prioritario ai servizi sociali a favore dei soggetti in condizioni di difficoltà economico-sociale.

La norma della legge veneta, invece, mette in evidenza la Corte, prescinde totalmente dal fattore economico e, favorendo le persone radicate in Veneto da lungo tempo, adotta un criterio che contraddice anche lo scopo dei servizi sociali di garantire pari opportunità e di evitare discriminazioni.

I giudici costituzionali hanno infine richiamato la libertà di circolazione garantita dai Trattati e la giurisprudenza della Corte di giustizia Ue in materia di requisiti per l’accesso a prestazioni sociali erogate dagli Stati membri, sottolineando l’incoerenza dello scopo perseguito dalla norma impugnata e il carattere comunque sproporzionato della durata della residenza richiesta.

Cosa ha dichiarato su Twitter Matteo Salvini appena conosciuta la decisone della Consulta?

“Il buon senso sarebbe 'incostituzionale'? pazzesco. Ma cambiare si può!”.

Riprendendo lo stesso termine, è pazzesco che faccia queste dichiarazioni un Ministro della Repubblica.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.