Al “San Martino” di Oristano chiude il reparto di Patologia Neonatale. Questo è solo l’ultimo di una serie di atti incoscienti posti in essere in ambito sanitario, iniziati tempo fa con l’incredibile depotenziamento dell’ospedale “A. G. Mastino” di Bosa e compiuti ai danni di un intero territorio che conta circa 160.000 abitanti ormai costretti, in caso di necessità, a viaggi estenuanti per l’isola o addirittura fuori dalla stessa, alla ricerca di un’assistenza adatta alle loro esigenze.Una situazione davvero insostenibile, in modo particolare quando ci si trova a dover fronteggiare delle emergenze che non concedono certo del tempo per le trasferte.

Nella vita di ciascuno di noi, la salute rappresenta un bene primario fondamentale. Affinché sia garantita, un ospedale deve poter offrire diversi servizi che assicurino il benessere degli utenti, preferibilmente in modo agevole, almeno in un Paese che si professa civile. Una struttura sanitaria, punto di riferimento territoriale, deve mantenere le proprie principali funzioni, evitando di creare ulteriori disagi sia fisici che psicologici a chi è già affetto da una patologia.

Chi si trova a dover affrontare uno stato di salute precario, spesso si sente abbandonato, sente che la propria vita e la propria dignità non sono rispettate. Le paure non vengono placate, anzi aumentano quando la stessa sopravvivenza è legata a un sistema che troppe volte non funziona e non si può controllare, ma solo subire.

Per quanto comprensibile, un’inevitabile riduzione degli sprechi nel settore pubblico e una razionalizzazione dei servizi, non possono tradursi in un’attenzione unica verso i numeri che trascura le necessità di migliaia di persone. Quando sono in gioco le condizioni fisiche, buonsenso e ragionevolezza devono essere i due fari principali che illuminano il percorso da intraprendere. È necessario porre al primo posto il bene dei cittadini, prescindendo per quanto possibile dalle sole esigenze di bilancio. Nella riorganizzazione della rete ospedaliera, la logica unica dei numeri porta a scelte insensate che non consentono a tutti di accedere a un’assistenza pubblica efficiente e di qualità.

Problemi evidenti legati alla geografia del territorio e alla viabilità, si riflettono pesantemente su tutta la popolazione, in particolar modo su quella più periferica che, spesso, fatica a raggiungere centri importanti.

Liste d’attesa infinite che obbligano i cittadini a rivolgersi alla sanità privata, in una terra segnata dalla disoccupazione e dalla povertà, precludono a troppi sardi la possibilità di fare prevenzione o di eseguire anche un banale controllo.

Ogni persona che risiede nel territorio nazionale, ha uguale diritto a ricevere un’adeguata assistenza sanitaria. Il diritto alla cura e alla salute è inalienabile e, almeno in teoria,non deve dipendere dalle condizioni economiche di ciascuno. Oggi si sta rivelando un bene di lusso e privilegio dei pochi che possono permettersi di usufruire di un’assistenza privata.

Farsi carico dei reali bisogni delle nostre comunità, significa avere la delicatezza di comprendere che alcuni servizi essenziali devono essere garantiti. Depotenziarli significa gettare nello sconforto e nella disperazione chi lotta contro la malattia.

Sulla questione, un atto di responsabilità vera, da parte del governo regionale è doveroso. Il continuo e inesorabile ridimensionamento delle strutture dell’oristanese è vergognoso e inaccettabile.

Elisa Dettori