Premessa:

Il 13 maggio 2016, organizzato dal Patto Territoriale di Oristano insieme al Consorzio Uno e alla Provincia, si è svolto un convegno sui limiti e le opportunità offerti dalla sharing economy nell’ambito del turismo. Uno degli interventi è stato curato da Giuseppe Cocco, che da oltre trent’anni, prima per l’Ente Provinciale per il Turismo e attualmente per la Provincia di Oristano, si occupa di classificazione delle strutture ricettive. La relazione pone l’accento sulle problematiche, soprattutto legali, insite nelle forme di ricettività tipiche della sharing economy.

Articolo:

Non si può certo dire che questo incontro si svolga in un contesto temporale avulso dalla realtà attuale. E non solo perchè della sharing economy si parla sempre più spesso come di quella forma di economia in costante espansione e con la quale sempre più persone si stanno trovando ad avere a che fare. Pensiamo alla necessità di essere trasportati in macchina da un luogo all’altro. Avevamo i taxi o i cosiddetti noleggi con conducente, adesso c’è Uber, c’è BlaBlaCar e non solo. Oppure pensiamo alle nostre vacanze. Abbiamo sempre avuto un’ampia scelta, a seconda delle preferenze, tra hotel, residence, B&B, affittacamere e altre forme tradizionali di ricettività. O magari controllavamo gli elenchi delle C.A.V., le Case e Appartamenti per Vacanze, regolarmente censite sulla base di una legge regionale. Oggi c’è Airbnb, c’è HomeAway e tanto altro. C’è persino la possibilità, se vuoi cenare fuori, di trascurare tutte le forme tradizionali di ristorazione per andare a mangiare presso una famiglia, condividendone il pasto e pagando un corrispettivo in denaro, prenotandoti attraverso siti come Gnammo o Peoplecooks.

Ma soprattutto diciamo che questo incontro è stato organizzato con uno straordinario tempismo perchè da pochissimi giorni, esattamente dal 3 maggio scorso, è stato presentato alla Camera dei Deputati un progetto di legge per regolamentare la sharing economy. Lo propongono oltre 80 parlamentari di diversi schieramenti politici, che hanno tra l’altro abbandonato l’espressione inglese per adottare, meritoriamente a mio parere, la definizione “economia della condivisione”. Sì, perchè, in effetti, almeno in teoria, si tratta di una forma di economia basata sull’ottimizzazione e condivisione di risorse, soprattutto beni e servizi, attraverso l’uso di piattaforme digitali. Normalmente esiste un gestore, che è il soggetto privato o pubblico che gestisce la piattaforma digitale, l’utente operatore, che è colui che attraverso la piattaforma digitale eroga un servizio o condivide un proprio bene, e l’utente fruitore, ossia colui che attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio erogato o il bene condiviso dall’utente operatore.

Direi in via preliminare di superare la questione semantica, perché il più delle volte, in queste nuove forme di economia, di condiviso c’è ben poco. Il termine “condiviso” fa pensare ad una situazione quasi di cooperazione, di sostegno reciproco. Condivido la mia casa con chi non ne ha una, e magari non se la può permettere. Do un passaggio al collega per andare al lavoro. Oppure acquisto un bene insieme ai miei vicini di casa, ne condivido le spese di gestione e l’utilizzo, e magari, a seconda della natura di quel bene, così facendo contribuisco al risparmio energetico ed alla salvaguardia dell’ambiente. Se le parole hanno un significato preciso, sembra difficile inquadrare Uber in una forma di condivisione o di cooperazione. Uber ha tutte le caratteristiche di un servizio taxi e nulla più. E lo stesso discorso vale per Airbnb, ad esempio, che offre a pagamento posti letto, né più né meno come qualsiasi esercizio di affittacamere o di bed & breakfast.

Il progetto di legge a cui abbiamo accennato poc’anzi prevede che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) debba vigilare sull’attività delle piattaforme digitali. Ecco alcune delle novità più importanti inserite nella proposta:

Dovrà essere istituito un Registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione che potrà essere consultato pubblicamente e in forma gratuita.

Tutti i gestori delle piattaforme digitali dovranno dotarsi di un documento di politica aziendale soggetto al parere vincolante e all’approvazione dell’AGCM. Questo documento descrive esattamente le condizioni contrattuali tra la piattaforma digitale e gli utenti. Il documento individua, per i gestori, una serie di azioni vietate nei confronti degli utenti operatori. Non possono esercitare controlli sulla prestazione d’opera, ad esempio, o stabilire delle tariffe obbligatorie. Le transazioni dovranno avvenire solo attraverso sistemi di pagamento elettronico. Il documento dovrà riportare chiaramente le coperture assicurative eventualmente previste per l’esercizio dell’attività.

Altra novità importante è riferita al regime fiscale. Il reddito percepito dagli utenti operatori è denominato “reddito da attività di economia della condivisione non professionale”. Ai redditi entro i 10.000 euro annui si applica un’imposta pari al 10%. I redditi superiori ai 10.000 euro vanno a cumularsi ai redditi da lavoro dipendente o lavoro autonomo e ad essi viene applicata l’aliquota corrispondente.

Con provvedimenti successivi, una volta approvata la legge, si dovrebbe entrare nel dettaglio e porre delle regole precise per ogni specifico settore.

Ma noi qui, oggi, siamo chiamati a discutere delle criticità che le attività legate alla sharing economy nel settore della ricettività turistica possono generare, e che il progetto di legge a cui si è accennato al momento non consente di superare.

Dando per assunto, ma con più di un dubbio, come si è detto prima, che forme di ricettività come Airbnb o HomeAway siano da ricomprendere nella sharing economy, proviamo ad analizzarne le criticità.

Le aziende ricettive in Sardegna, come del resto in tutto il territorio nazionale, sono regolamentate da leggi regionali. Sostanzialmente sono due i provvedimenti legislativi di riferimento: la L.R. n. 22 del 1984 per quanto riguarda alberghi, alberghi residenziali, campeggi e villaggi turistici, e la L.R. n. 27 del 1998 per quel che concerne tutte le altre tipologie di ricettività extra alberghiera, escluso l’agriturismo che è regolamentato da disposizioni normative emanate dall’Assessorato Regionale all’Agricoltura. Una legge del 1984 e una del 1998: niente male per un settore che le nuove forme di ricettività stanno modificando con la velocità della luce.

Semplificando, possiamo dire che qualsiasi struttura ricettiva, nel corso della sua attività, deve adempiere ad una serie di compiti. Mi limito ai più importanti. Oltre ad essere in regola con le norme edilizie comunali, occorre rispettare la vigente normativa igienico-sanitaria, nonché quella in materia fiscale. Ma vorrei porre l’accento su altri quattro obblighi che i titolari degli esercizi devono assolvere. Tre di essi vedono il diretto coinvolgimento della nostra Amministrazione.

La classificazione. Gli esercizi di bed & breakfast non hanno una suddivisione in categorie, quindi non vanno classificati, ma possono iniziare la loro attività dietro presentazione della S.C.I.A., come ha illustrato il Dott. Cadoni del Comune di Oristano, e devono comunque rispettare una serie di prescrizioni previste dalla normativa regionale. Alberghi, campeggi, affittacamere, residence, e tutte le altre tipologie ricettive, sono invece soggetti a classificazione, ovvero gli deve essere attribuita una categoria sulla base delle caratteristiche strutturali e sulla base dei servizi offerti, secondo parametri previsti dalle norme vigenti e previa acquisizione del parere della Provincia.

I prezzi. Il settore ricettivo è sottoposto ad un regime di prezzi sorvegliato. Le tariffe sono completamente liberalizzate sulla base di norme nazionali recepite dalla Regione Sardegna, per cui nessuno può contestare una libera scelta dell’esercente. I prezzi però devono essere dichiarati preventivamente, con l’obbligo di rispettarli, senza superare i valori massimi o andare sotto i valori minimi dichiarati, se non in casi eccezionali previsti dalla legge. I B&B devono dichiararli direttamente al Comune competente, tutti gli altri esercizi li dichiarano all’Amministrazione Provinciale, che ha la competenza sulla materia. È un modo per pubblicizzare, ufficializzare e controllare la corretta applicazione delle tariffe, anche e soprattutto a tutela del cliente.

Gli adempimenti ai fini della Pubblica Sicurezza. I gestori di qualsiasi tipologia di struttura ricettiva hanno l’obbligo di identificare gli ospiti al loro arrivo attraverso un documento di riconoscimento e di trasmetterne entro le 24 ore le generalità alle autorità di P.S. attraverso un sistema telematico. Venire meno a questo obbligo costituisce reato penale.

Gli adempimenti ai fini statistici. Anche il conferimento dei dati ai fini statistici è un obbligo, in quanto tale comunicazione è inserita nel programma statistico nazionale. E anche in questo caso esiste un sistema telematico gestito dalla Regione Sarda in collaborazione con le Amministrazioni Provinciali, chiamato SIRED, che consente di adempiere all’obbligo dell’invio dei dati statistici agevolando, con una procedura apposita, l’invio pressoché contemporaneo del dato alla Questura. Trattandosi, anche in questo caso, di un obbligo di legge, l’omissione prevede una sanzione amministrativa a carico degli inadempienti.

Per quanto riguarda invece le case o appartamenti in affitto, la stessa L.R. 27/1998 prevede sostanzialmente due soluzioni:

le C.A.V. – Case e Appartamenti per Vacanze – che sono unità abitative ubicate nello stesso comune, gestite unitariamente ed in numero non inferiore a tre da uno stesso imprenditore che ne abbia legittima disponibilità anche temporanea. Anche questa tipologia ricettiva è sottoposta a tutti gli obblighi che sono stati appena elencati.

È codificato anche l’uso occasionale di immobili ai fini ricettivi, che ciascun privato deve segnalare al Comune competente entro il quinto giorno dall’inizio del periodo d’affitto. In questo caso non è necessario inoltrare una pratica di apertura e classificazione agli Sportelli Unici, ma bisogna comunque adempiere agli obblighi della comunicazione ai fini statistici e della Pubblica Sicurezza.

Come si può vedere, la legge ha previsto soluzioni praticamente per tutto ed ha stabilito regole precise.

I dati in nostro possesso dicono che nella sola città di Oristano, incluse le frazioni, operano una sessantina tra B&B, affittacamere e C.A.V. regolarmente dichiarati e classificati. Tornando alle forme di ricettività proposte dalle piattaforme digitali, abbiamo constatato, con una rapida verifica, che su Airbnb ci sono, nel medesimo territorio, circa 80 offerte di alloggio assimilabili alle stesse tipologie ricettive. Ciò significa che una ventina operano senza le necessarie autorizzazioni. Molto più vasta è l’offerta di case, ville, appartamenti sul portale specializzato HomeAway. In provincia di Oristano sono circa 400. E qui la quasi totalità non è ricompresa tra le strutture conosciute e classificate. Beninteso, l’affitto di case può passare attraverso i canali previsti dalle norme del codice civile in materia di locazione.

Ma le situazioni borderline, per usare un termine eufemistico, sono numerosissime. Ci limitiamo, tralasciando appositamente gli aspetti fiscali, oggetto di altro intervento, a citarne alcune di cui siamo direttamente a conoscenza o che sono state accertate attraverso ricerche specifiche. Sospendiamo il giudizio, lasciando che ciascuno faccia le proprie considerazioni sulle contraddizioni insite nelle forme di ricettività proposte dalla sharing economy.

Per esempio, esiste una sentenza della Cassazione Civile del 1987 che ha delineato una netta differenza tra la locazione e il contratto d’albergo (in base all’art. 1786 del codice civile, le norme relative agli alberghi si estendono alle altre strutture ricettive). Nel contratto d’albergo al godimento dell’immobile si accompagna la fornitura di servizi aggiuntivi, quali la pulizia dell’alloggio o il cambio della biancheria; nel rapporto di locazione è concesso solo il godimento del bene ma nessuna prestazione accessoria. Eppure in via del tutto ufficiosa siamo venuti a conoscenza del fatto che molti offrono anche questo tipo di servizi, spingendosi in alcuni casi anche alla disponibilità a fornire pasti.

L’ISTAT censisce in Italia meno di 120.000 strutture extra alberghiere e la crescita annuale è lentissima. Su Airbnb ci sono attualmente disponibili intorno a 180.000 strutture, con crescite esponenziali di anno in anno.

L’essere in regola con le norme regionali sulla ricettività turistica comporta, ad esempio, che le strutture siano conformi alla normativa edilizia comunale, dotate di agibilità, con impianti a norma, e così via. Nulla di tutto ciò è tassativamente richiesto per poter stare all’interno dei portali specializzati, e non sono cose che si devono dare necessariamente per scontate. Tanti sono i casi di irregolarità edilizia anche dalle nostre parti.

Opinione della Questura di Oristano, da noi interpellata in proposito, è che queste forme di ospitalità rientrino fra quelle “strutture di accoglienza non convenzionali” di cui parla l’art. 109 del Testo Unico della Pubblica Sicurezza e per le quali corre l’obbligo della trasmissione telematica delle generalità degli alloggiati di cui abbiamo parlato prima, ma non risulta alla stessa Questura un numero così alto di strutture che conferisce i dati, stessa cosa per i dati raccolti dalla Provincia ai fini statistici.

Gli inserzionisti che propongono più di un alloggio sono oltre la metà, circa il 60%. Siamo diventati un popolo di grandi proprietari di immobili? Viene naturale chiedersi: chi si nasconde dietro una certa Bettina che su Airbnb presenta 420 alloggi, di cui 140 a Milano, 80 a Roma e 88 a Firenze, e non è neppure un caso isolato? Questo esempio fa capire come anche effettuare controlli non sia esattamente la cosa più facile.

Della questione si è occupato recentemente il Comitato Europeo delle Regioni. Nella sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2015 ha emanato un parere sulla dimensione locale e regionale dell’economia della condivisione, riconoscendone vari aspetti positivi e potenziali benefici per le economie locali, ma ha sottolineato che occorre tenere alta la guardia affinché i servizi offerti non siano all’origine di pratiche di elusione fiscale o concorrenza sleale né violino regolamentazioni locali e regionali o normative nazionali ed europee.

Lungi dal demonizzare il nuovo, anche e soprattutto nel campo dell’economia, sottoscriviamo la risoluzione del Comitato Europeo delle Regioni. Con l’auspicio che il progetto di legge di cui abbiamo parlato all’inizio sia solo il punto di partenza di un processo di regolamentazione non più rimandabile e che il legislatore, per il futuro, se proprio non riesce a tenere il passo e i ritmi dell’economia digitale, cerchi di stare almeno sulla scia.

Giuseppe Cocco