In passato ho cercato di descrivere la preoccupante situazione demografica della Sardegna e in particolare della provincia di Oristano. L’età media della popolazione, i tassi di natalità e mortalità rappresentano degli elementi critici e di grande interesse per la nostra comunità.

In quell’occasione non mi sono occupato se non incidentalmente del tasso migratorio, che tutto sommato non incide in maniera decisiva sul livello di spopolamento in Sardegna secondo quanto si evince dai dati degli ultimi anni.

Tuttavia il flusso migratorio in uscita dalla Sardegna e dall’Italia rimane un elemento di interesse (in Sardegna principalmente se si va a considerare l’età media di coloro i quali emigrano e di quelli che invece tornano a vivere nell’Isola), tanto da avere delle ripercussioni sulla tenuta economico-sociale del sistema.

Il Rapporto annuale ISTAT 2018 stima un ammontare complessivo di 285mila italiani emigrati all’estero nel 2017; livelli paragonabili solo agli anni ’50 del “˜900. La mobilità degli Italiani è interessante anche dal punto di vista della migrazione all’interno del territorio nazionale, con quote sempre più consistenti di giovani che si spostano da Sud a Nord, ma in questa sede ritengo utile concentrarmi sulla migrazione oltre i confini nazionali.

Aumenta, contestualmente al numero di emigrati, la quota di diplomati e laureati che decidono di abbandonare il Paese. Questo trend, tuttavia, è in linea con l’età media degli emigrati e con l’incremento generale del tasso di scolarizzazione degli italiani. È più rilevante invece che gli italiani emigrati siano una rappresentazione di tutte le classi sociali e livelli di scolarizzazione: non esiste (solo) il fenomeno della fuga dei cervelli che vanno a popolare le università e gli enti di ricerca stranieri, né solo i soggetti marginalizzati nel contesto sociale di provenienza. L’esodo dall’Italia è una scelta di vita di italiani normali, prevalentemente di giovane età (18-44). Si tratta di forza lavoro persa, che non viene sostituita se non marginalmente da immigrati di altre nazionalità, e solitamente per lavori a basso livello di professionalizzazione.

Le cause di tale fenomeno possono essere numerose; colpisce che gran parte della popolazione in età utile per l’ingresso nel mondo del lavoro preferisca cercare la prima o una delle prime occupazioni al di là dei confini nazionali.

In un noto saggio intitolato “Lealtà, Defezione e Protesta”, Albert O. Hirschman descrive le modalità di interazione degli individui nei gruppi. In sintesi, un individuo può esercitare la lealtà e stare all’interno del gruppo anche se non è soddisfatto; oppure può protestare, far sentire la propria voce; in ultima istanza può defezionare, se non ha più fiducia nel gruppo di cui fa parte.

La sensazione è che i giovani italiani in età da lavoro abbiano optato per la defezione: l’Italia non ispira fiducia. Non è un Paese dove si possa costruire il proprio futuro, non è un contesto che si possa cambiare attraverso la protesta e l’intervento diretto. Dunque la scelta obbligata è l’uscita, la fuga.

Sottolineo che non si tratta solo dei “migliori” tra gli italiani, quelli che hanno una prospettiva lavorativa di alto livello all’estero. Emigrano anche i neodiplomati o neolaureati, quelli che facevano lavori saltuari in Italia, i disoccupati. Emigrano semplicemente perché dell’Italia non hanno fiducia, perché qui il lavoro non viene valorizzato e i patti tra lavoratori e datori di lavoro non sono chiari e cristallini. Il futuro che li attende all’estero non è dorato, ma è più certo e stabilmente retribuito.

Questo fenomeno, oltre a contribuire in maniera evidente all’invecchiamento e al declino della popolazione italiana (i nati diminuiscono, aumentano i morti e la popolazione complessiva cala), ha degli effetti anche sull’economia. Mi limito a sottolineare due conseguenza molto chiare:

  1. La contrazione del PIL: spostandosi all’estero, gli italiani producono ricchezza altrove tramite il proprio reddito e non contribuiscono contestualmente alla domanda interna, visto che i loro consumi vengono fatti altrove;
  2. La compromissione del sistema previdenziale: diminuendo il numero di lavoratori e aumentando – sia in termini assoluti sia relativi – i pensionati, i contributi previdenziali dei lavoratori rimasti potrebbero non essere più sufficienti a coprire il fabbisogno per il pagamento delle pensioni, tanto da far saltare la sostenibilità dell’intero sistema.

In definitiva, bloccare l’emorragia migratoria non è solo un dovere morale e sociale, ma anche un’esigenza macroeconomica. È, insieme alle problematiche dello sviluppo sostenibile e all’adeguamento tecnologico della produzione industriale, il tema più rilevante per la tenuta del sistema Italia. È il momento di restituire la dignità alla generazione dei nati tra il 1970 e il 2000, affinché questi possano scegliere se emigrare o meno, invece che esserne di fatto costretti.

 

Riccardo Scintu

Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.