I dati di questo Post sono basati su una news del 24.2.2018 dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ha rielaborato le informazioni fornite dalla Banca dat Reprint del Politecnico di Milano e dell’ICE

Le partecipazioni all’estero delle imprese itaine hanno raggiunto quota 35.684. registrando un incremento del 12,7% tra il 2009 e il 2015,ultimo anno di rilevazione.

Monitorare con esattezza l’andamento della delocalizzazione produttiva delle aziende italiane non è facile, come sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo:

“Purtroppo non ci sono statistiche complete in grado di fotografare con precisione il fenomeno della delocalizzazione produttiva. Infatti, non conosciamo, ad esempio, il numero di imprese che ha chiuso l’attività in Italia per trasferirsi all’estero.

Siamo quasi tutti indotti a pensare che la motivazione principale della delocalizzazione sia di andare nei paesi che hanno un minor costo del lavoro, ma le principali mete di destinazione sono la Francia (2.551 casi), la Romania (2.353), la Spagna (2.251), la Germania (2.228), il Regno Unito (1.991) e la Cina (1.698).

Chi pensava che la meta preferita dei nostri investimenti all’estero fosse l’Europa dell’Est rimarrà sorpreso. A eccezione della Romania, nelle primissime posizioni scorgiamo i paesi con i quali i rapporti commerciali sono da sempre fortissimi e con economie tra le più avanzate al mondo.

Dal punto di vista occupazionale, il numero di occupati all’estero presso le imprese a partecipazione italiana è diminuito del 2,9%, mentre ad aumentare è il fatturato (+8,3%), così come crescono i ricavi delle imprese straniere controllate da quelle italiane.

Anche questo è un dato che rafforza le conclusioni precedenti, la diminuzione dell’occupazione e l’aumento del fatturato vogliono dire che la crescita non è dovuta al basso costo del lavoro.

Dei 35.684 casi registrati nel 2015, oltre 14.400 (pari al 40,5 per cento del totale) sono riconducibili ad aziende del settore del commercio, per lo più costituite da filiali e joint venture commerciali di imprese manifatturiere. L’altro settore più interessato alle partecipazioni all’estero è quello manifatturiero che ha coinvolto oltre 8.200 attività (pari al 23,1 per cento del totale): in particolar modo quelle produttrici di macchinari, apparecchiature meccaniche, metallurgiche e prodotti in metallo.

In cima alla classifica delle Regioni maggiormente coinvolte negli investimenti all’estero compare la Lombardia (11.637 partecipazioni), seguita dal Veneto (5.070), dall’Emilia Romagna (4.989) e dal Piemonte (3.244). In generale, il 78% del totale delle partecipazioni ha origine da imprese ubicate nelle Regioni del Nord Italia.

Queste regioni presentano livelli di disoccupazione quasi fisiologici e sono considerate, a tutti gli effetti, aree con livelli di industrializzazione tra i più elevati d’Europa.

Una delle conclusioni dello studio quindi è che “quando la delocalizzazione non è dettata da mere speculazioni di natura opportunistica, queste operazioni di internazionalizzazione rafforzano e rendono più competitive le nostre aziende con ricadute positive anche nei territori di provenienza di queste ultime”.

Un’altra conclusione, mia personale e molto meno positiva, è che i dati dei settori interessati e delle Regioni maggiormente coinvolte evidenziano anche, e in maniera eclatante, la debolezza economica e produttiva del Mezzogiorno rispetto al Nord Italia.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.