Nel suo libro “Le basi morali di una società arretrata“, l’antropologo statunitense Edward C. Banfield introdusse il concetto di familismo amorale.

Durante un suo soggiorno in un paesino dell’Italia meridionale, Banfield notò come in quel luogo l’andamento del sistema economico fosse fortemente condizionato dal modo in cui gli abitanti vivevano i legami con i propri nuclei familiari.

Con il termine familismo, Banfield indicò il forte senso di solidarietà che i componenti di una famiglia provano reciprocamente. Parlò di familismo amorale“,in quanto rilevò come il loro rapporto d’unione viscerale li induceva a produrre benefici che potessero ricadere solo ed esclusivamente all’interno del nucleo di appartenenza mentre, verso il resto della società, non erano sentiti né senso del dovere, né desiderio di contribuire al raggiungimento di una prosperità diffusa.

Alla base, nessun principio immorale, in realtà. È comune a tutti il voler prediligere il benessere dei propri cari, rispetto a quello degli altri. Semplicemente, il familista amorale, incurante degli interessi del resto della collettività, distorce il proprio senso di collaborazione e solidarietà fino ad arrivare a un vero e proprio atteggiamento di chiusura, finanche ostilità verso l’esterno, che gli impedisce di associarsi, cooperare e agire perché tutti possano migliorare la proprie condizioni sociali ed economiche.

Questo senso di diffidenza ha modificato in misura considerevole la struttura sociale al Sud e, ancora oggi, è possibile rilevare la presenza di clan chiusi, più o meno consistenti, in grado di condizionare, in una loro degenerazione, le scelte dei singoli. Parliamo di clan che, con il passare del tempo, si sono evoluti e che oggi prescindono dalla consanguineità, estendendosi a tutti quei gruppi organizzati di persone che, riconoscendosi in un insieme di valori e interessi condivisi, hanno dato origine a un sistema basato sulla corruzione, che tuttora persiste. Basta documentarsi sul funzionamento delle baronie all’interno delle Università, sul clientelismo politico e non solo, per rendersene conto.

In generale e senza troppe ipocrisie, ritengo che aiutare una persona abile e competente, senza secondi fini e consentendole di emergere, non sia un errore poiché, con il proprio operato, può certamente offrire un contributo positivo all’intero ambiente nel quale si muove, arricchendolo in modo tale che più persone possano trarne un vantaggio concreto. Le qualità umane e professionali del singolo, costituiscono sempre un valore aggiunto che va a beneficio di tutti. Tuttavia, questo fare, non ha niente in comune con l’atteggiamento del familista amorale che, invece, è un soggetto disposto a favorire chiunque possa garantirgli un sostegno incondizionato al momento opportuno e, cosa ancor più grave, lo fa agevolando spesso degli inetti galoppini, ponendoli addirittura in posti di potere.

Familismo e clientelismo, ormai diffusi e ben radicati da tempo immemore, tanto da ledere in maniera evidente la nostra società, hanno annullato sogni e ambizioni di chi ne fa parte e tenta di trovare, con estrema fatica con le sue sole forze,un proprio spazio nel mondo per costruire il proprio futuro.

Le dinamiche che scaturiscono dalla volontà di privilegiare alcuni a danno di altri,prescindendo dal merito e dalle capacità dando spazio solo a rapporti di parentela e amicizia, rappresentano una grave forma di ingiustizia sociale, capace di logorare il nostro tessuto sociale.

Un sistema difficile da abbattere questo, soprattutto in ambito politico. Lo si dovrebbe minare dall’interno, con un moto di coscienza di quelle persone di buona volontà che pur facendo parte di certi gruppi, hanno l’onestà intellettuale di opporsi e di pretendere integrità e trasparenza. Impresa tutt’altro che semplice, ça va sans dire.

Nonostante tutto, è però importante continuare ad alimentare sempre, in ciascuno di noi,quella consapevolezza che ci consente di comprendere fino in fondo quali siano i danni causati da questo schema di relazioni che si autoalimenta in modo tossico e perverso e che ci porta a pagare il caro prezzo delle prevaricazioni e delle iniquità che ne derivano.

Elisa Dettori