Con questo pezzo cerco di esprimere alcuni miei pensieri circa la situazione, le espressioni e le esigenze dei giovani nella “Società complessa e integrata” di oggi e quale ruolo possono avere nella “Politica”, che, spero, possano essere utili o, quantomeno, oggetto di discussione.

Voglio esprimere uno spunto di discussione utile nella situazione attuale di smarrimento, nel quale sembra che la competenza, l'attenzione alla Politica, lo studio della complessità della nostra Società sembra non interessare nessuno.

Una riflessione in un momento nel quale sembra contare solo lo spread, che pure ha la sua importanza per la vita di tutti noi. Sembra che tutti si siano allineati al verbo e alle certezze del mercato come unico regolatore delle nostre vite.

Ecco, sono convinto che ancor di più oggi c'è la necessità di tornare a fare politica, così come la intendeva Berlinguer, c'è bisogno dei Partiti, così come sono concepiti nella Costituzione, che con l'articolo 49, recita “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Per fare questo prendo spunto da quanto scritto alcuni anni fa da Lelio La Porta sul sito di “La Città Futura” in merito al tema “Berlinguer e i giovani: una riflessione“.

La Porta prende spunto dal film di Walter Veltroni trasmesso dalla terza rete “Quando c'era Berlinguer“, nel quale ravvisa una certa insistenza a ridurre il leader comunista ad un brav’uomo, quasi a voler collocare in secondo piano la dimensione politica della sua attività.

Inoltre, La Porta racconta di quando, nell'organizzazione di una giornata della Liberazione con l’Istituto in cui insegnava, trovò come punto di riferimento un Circolo del Pd. All’interno faceva bella mostra di sé una foto di Berlinguer.

Egli chiese ai giovani presenti chi fosse quell’uomo. Non seppero rispondere, pur trovandosi all’interno della sede di un Partito, che considerava Berlinguer nel suo Pantheon. Eppure, tante sono state le occasioni e i luoghi in cui Berlinguer si rivolge direttamente ai giovani.

Berlinguer credeva molto nella pedagogia, non soltanto in generale, ma per quella specificità della pedagogia che ne fa anche un’educazione alla politica.

In particolare, La Porta cita il Discorso al XIX Congresso della Fgci del marzo del 1971, nel quale Berlinguer richiamava, con un discorso attualissimo, i giovani alla battaglia sul fronte ideale, nella quale “bisogna tener conto della crisi che investe tutta la cultura contemporanea, frutto di una più generale crisi dei valori, che a sua volta è il prodotto della società capitalistica giunta alla sua fase più avanzata”.

E continuava facendo presente che una simile battaglia non poteva ridursi agli slogans che dovrebbero produrre come dal nulla una cultura alternativa. Berlinguer sottolineava l’importanza della conoscenza delle nozioni, della loro critica, la quale era l’unica in grado di fornire la conoscenza indispensabile per un uomo che voglia definirsi colto e moderno.

Questo, continuava, è il solo modo rivoluzionario di intendere lo studio, sapendo bene la fatica che questo richiede. “Ma solo così è possibile diventare uomini colti, uomini che sanno e che sanno fare”.

Sembra di cogliere nelle parole di Berlinguer qualcosa di più di una semplice eco gramsciana, di quel Gramsci che scriveva che lo studio è per l’eternità e ha come strumento indispensabile la politica.

Alla domanda sul difficile rapporto fra giovani e politica e al fatto che i giovani non ritengono che il cambiamento attuale delle cose passi attraverso la lotta politica, Berlinguer, in una intervista del 1981 a Moby Dick, così rispondeva: “Il riscatto e la liberazione dei giovani – degli uomini – presuppone un impegno individuale, della singola persona, il rispetto delle sue propensioni e vocazioni, delle sue specifiche preferenze e aspirazioni personali nei vari campi: ma si realizza pienamente e duraturamente solo attraverso uno sforzo collettivo, un’opera corale, una lotta comune.

Insomma ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno. E qui si tocca la dimensione sociale e politica dell’azione delle masse, comprese le masse giovanili”.

Mi piace ancor di più citare un aneddotto raccontato da Tatò nel corso di un convegno su Berlinguer svoltosi a Brescia il 30 – 31 gennaio 1987 e intitolato “L’eredità morale e politica di Enrico Berlinguer“.

Berlinguer ricevette una lettera di una fanciulla di prima media che gli chiedeva cosa fosse la politica. Dopo essersi preso un poco di tempo, rispose di persona con l’impegno che la risposta richiedeva e tenendo presente chi aveva posto la domanda. Usò, ricordava Tatò, “un amorevole scrupolo didattico, come se si trovasse a spiegare l’argomento in un’aula scolastica, di fronte a un uditorio di ragazzini, di adolescenti”.

Nella risposta Berlinguer partì da un dato noto a tutti, ma non a quella bambina: politica deriva dalla parola greca polis che vuol dire città e, in senso esteso, deve intendersi cittadinanza, diritto di cittadinanza, interessi della cittadinanza e anche affari pubblici, Stato.

E questo è tanto più vero in quanto i composti di polis, politeia, che è la Costituzione da dare a quella comunità urbana che è la polis, e politein, significano partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, al governo dei pubblici affari.

La pignoleria berlingueriana nel richiamo etimologico ha un senso nella necessità da parte di Berlinguer di far conoscere a quella bambina il significato primo della politica, la funzione e lo scopo, cioè i fini ultimi, della politica, il fatto che politica e potere sono privati del loro significato originario ogni volta in cui non sono esercitati in funzione e al servizio dei cittadini e del popolo. Eppure, la politica non perverrebbe a nessuno dei suoi obiettivi se ad essa non si unissero l’impegno, a cui Berlinguer ha fatto esplicito riferimento nella risposta a “Moby Dick”, e la passione.

Serve quella passione politica di cui scrive Gramsci, la quale, pur essendo un impulso immediato all’azione che nasce sul terreno della vita economica, “lo supera, facendo entrare in gioco sentimenti e aspirazioni nella cui atmosfera incandescente lo stesso calcolo della vita umana individuale obbedisce a leggi diverse da quelle del tornaconto individuale»”.

Berlinguer sostenne che c’era bisogno non soltanto di porre attenzione alle forme di organizzazione dei giovani, ma, soprattutto, di porre attenzione ai giovani in quanto tali, che, aggiungeva, “non dimentichiamolo, vivono nelle scuole”. Berlinguer poggia il suo ragionamento sulla scuola e sul nesso scuola – società: “»la lotta per il rinnovamento della scuola è parte integrante e decisiva della lotta per il rinnovamento di tutta la società e ogni battaglia vinta sulla via della trasformazione della scuola e dell’insegnamento, sollecita e stimola altre trasformazioni, non solo nella scuola, ma in tutta la struttura economica e sociale”.

Chiudo queste mie riflessioni ricordando un concetto espresso in un altro pezzo dal titolo “Democrazia Rappresentativa o Democrazia Diretta?”

La rabbia di oggi, che vede protagonisti anche i giovani, è un aspetto delle nostre relazioni sociali, che è fine a se stessa se non trova il modo di diventare energia propositiva e contributo fattivo nella direzione di individuare soluzioni per i problemi sul campo.

Ecco, serve più politica, quella politica in cui credeva Berlinguer e i giovani possono avere un ruolo decisivo in tale direzione.

Giampiero Vargiu

Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Societ di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili.