Oggi sembra che non sappiamo andare oltre l'orizzonte del capitalismo avanzato. Nella situazione in cui noi viviamo abbiamo accettato quasi con rassegnazione gli assunti della democrazia liberale, abbiamo perso il potenziale utopico e, in uno stadio ormai di capitalismo avanzato, non riusciamo più a immaginare un oltre. Oggi l'uomo riesce perfino a immaginare di essere, grazie alla scienza, immortale, perché si lavora ormai per questo, o di andare su Marte, ma non riusciamo a immaginare un oltre del capitalismo, non riusciamo a guardare oltre: questo punto è decisivo, perchè senza avere, prima di tutto, questa consapevolezza, non sarà possibile fondare una Società di pace, equa e sostenibile. C'è paura del fuori, paura dell'oltre ma anche dell'altro. Siamo ripiegati su noi stessi e ci sembra che a questo punto il capitalismo sia l'orizzonte ultimo della storia.

Nel suo Saggio “Fermare l'odio”, Luciano Canfora ci invita a riappropriarci della visione internazionalista e pacifista, di dialogo con le realtà più emarginate del mondo, partendo, per esempio, da un dialogo stretto tra l'Europa e il Nord Africa, realizzando ponti di comunicazione nel Mediterraneo e non barriere.

In tanti si affannano nel tentativo di interpretare l'attuale situazione della nostra Società globalizzata: crisi economica, di valori, crisi culturale, nuova situazione geopolitica, crisi degli Stati nazionali, delle Istituzioni democratiche, “guerre di civiltà”, terrorismi, nazionalismi, sovranismi, tramonto del “sogno europeo” e, oggi, una pandemia che ha sorpreso tutti.

Forse la pandemia causata dal coronavirus ci ha sbattuto in faccia una verità che non volevamo vedere e sentire.

Come da me scritto in altre occasioni Zygmunt Bauman, che è l'intellettuale che ha coniato la definizione di “modernità liquida”, nel suo saggio “Retrotopia scrive “Il ventesimo secolo, iniziato con un'utopia futurista, si è chiuso con la nostalgia. Il meccanismo della nostalgia va interpretato come difesa in un periodo contrassegnato da ritmi di vita accelerati e da sconvolgimenti storici. La promessa di ricostruire una casa ideale, con cui molte delle ideologie oggi tanto influenti ci invogliano ad abbandonare il pensiero critico per i legami emotivi. La nostalgia può, però, indurre a confondere la casa vera con quella immaginaria. Questo pericolo va cercato nella versione restauratrice della nostalgia, che caratterizza i risvegli nazionali e nazionalistici in corso in tutto il mondo, dediti alla mitizzazione della storia in chiave anti moderna, attraverso il recupero di simboli e miti nazionali e, talvolta, il baratto di teorie cospiratorie”.

Le domande principali che si pone e ci pone Bauman sono: “siamo in presenza oggi di un ritorno a quanto scritto nel Leviatano di Hobbes?, un ritorno alle tribù?, un ritorno alla disuguaglianza?” Hobbes teorizzava che la crudeltà è innata negli esseri umani (“Homo homini lupus”), per cui, per far si che l'uomo non abbia una vita misera, ostile, animalesca e breve, serve la presenza del personaggio biblico del Leviatano, capace di impersonare contemporaneamente il potere temporale e quello religioso.

Oggi, il neoliberismo inietta anche la violenza nella politica e la paura nelle nostre vite.

Come già scritto in altre occasioni, nella nostra epoca, in cui il potere, purtroppo, è disgiunto dalla politica, le caratteristiche principali del potere sono la libertà di movimento e la capacità di rendersi all'occorrenza irraggiungibile, in modo da abdicare alle proprie responsabilità. Il disordine mondiale è generato dalla progressiva globalizzazione del potere e, contemporaneamente, da una politica che conserva ancora una dimensione locale. Insomma la politica è “debole”. A queste considerazioni bisogna aggiungere che la recentissima rivoluzione nella comunicazione, alimentata, in particolare, da Internet, ha introdotto, soprattutto, dal punto di vista quantitativo, novità assolute nel flusso circolare tra fonte delle informazioni e opinioni individuali, per cui, oggi, esiste e si forma l'”opinione pubblica”, in questo nostro “secolo diverso”, come rapporti tra individuo e gruppo, che un giorno si rinsaldano e il giorno dopo accarezzano l'ideale di divorzio, in una sorte di odio – amore, tra la ricerca della sicurezza dell'appartenenza e l'attrazione magnetica dell'autoformazione. I Media creano nuovi tipi di azione e interazione e nuove forme di relazioni sociali, non più del tipo “faccia a faccia”. In passato le persone si lasciavano avvolgere da una prossimità fisica, che consentiva ripetuti incontri faccia a faccia, oggi i gruppi dell'era informatica si formano e si coagulano attorno a quei vettori di informazioni che, per una ragione o per un'altra, si pensa che siano credibili e affidabili. La frequenza con cui le persone appaiono sullo schermo e, ancor di più, il numero di likes e di condivisioni che vantano e aggiungono ai propri messaggi offrono tutto il supporto che occorre per mostrare che sono una scelta dotata di valenza pubblica e, quindi, per deduzione, rispettabile. Somiglia a un esercizio d'indipendenza e, per giunta, da la sensazione di aver compiuto un prode gesto di autoaffermazione, con l'ulteriore valore aggiunto di garantire in anticipo il riconoscimento e l'approvazione del gruppo. Sono comportamenti tipici dell'”Atto di emulazione”, caratteristica dell'”uomo sociale”. Ma questa caratteristica della condotta emulativa può influire direttamente sull'aumento della quantità e dell'intensità della violenza, con un evidente ritorno del primitivo e violento “mondo di Hobbes”.

La rabbia è un aspetto delle nostre relazioni sociali, che è fine a se stessa se non trova il modo di diventare energia propositiva e contributo fattivo nella direzione di individuare soluzioni per i problemi sul campo.

Oggi non manca il terreno fertile per il germogliare dei semi della violenza. I concimi sono numerosi e diversi, ciascuno ha come indispensabile componente la rabbia, resa ancor più cocente, acre e violenta dall'esasperazione e dalla frustrazione per la mancanza di valvole di scarico collaudate e a portata di mano. Rabbia, che, soprattutto a seguito delle ultime crisi mondiali e ancor di più a seguito dell'attuale situazione generata dalla pandemia del coronavirus, è aumentata, non è capita ed è manipolata per fini di potere.

Così nasce la Società della Retrotopia, citata nel saggio di Zygmunt Bauman, fatta di rabbia, di frustrazione, che si lascia convincere della bontà di una “cultura dominante neoliberista” e, che, disillusa, si rivolge, con nostalgia, al passato, per paura del futuro, per paura del diverso, il rifugio nell'egoismo più sfrenato, nel narcisimo della “Società del consumo”. Il neoliberismo ha contribuito e continua a contribuire nella esaltazione di questa paura e la politica sembra non più in grado di esercitare la funzione di potere che è indispensabile per affermare i principi della Democrazia. Da qui la crisi delle Democrazie, in particolare, quelle occidentali. L'incapacità di far prevalere i valori della socialità, della giustizia, dell'uguaglianza e della pace tra i popoli. La difficoltà nella costruzione degli Stati Uniti d'Europa, il sogno di sviluppare sempre di più la capacità di relazione tra popoli che hanno storie diverse ma molte affinità culturali, le difficoltà di un “Governo mondiale della Biosfera”.

In ciò risiede l'originalità vera e assoluta della sfida che il nuovo e più alto livello d'integrazione umana pone all'ordine del giorno e, anche, l'ostacolo finora mai affrontato nè superato, che impedisce alla coscienza collettiva, compresi i comportamenti che essa ispira e legittima, di riallinearsi al livello raggiunto della nostra interdipendenza e interazione: occorre comprendere la complessità della Società moderna globalizzata, nella quale esiste una “condizione cosmopolitica ma non la consapevolezza cosmopolitica”. Il Coronavirus è anch'esso un frutto della globalizzazione, che dobbiamo imparare a controllare e con il quale, probabilmente, dobbiamo imparare a convivere: una battaglia che possiamo vincere con uno scatto in avanti.

Per uscire da questo buco nero, fatto di rabbia, smarrimento e nostalgia del passato, nel quale sembra piombato il mondo, in particolare a seguito di questa pandemia, in sintesi occorre fare l'esatto contrario: “guardare avanti per cambiare”.

I mesi precedenti alla pandemia ci avevano già dimostrato che è possibile riconquistare anche le “Piazze reali”, il linguaggio della socializzazione umana più dirompente. Lo hanno dimostrato i giovani del Movimento delle Sardine e del Friday For Future, i giovani di Hong Kong, del Cile, dell'Iran e della Francia, che chiedono risposte sui cambiamenti climatici, sull'esigenza di un nuovo linguaggio, non più di odio, di una nuova politica aperta alle esigenze dei più deboli e di una democrazia vera.

Ora lo stanno dimostrando i tanti cittadini che, costretti a restare a casa, si affacciano ai balconi, urlano e cantano la loro voglia di socialità, ora che questa è venuta a mancare in maniera clamorosa e inaspettata.

Come scrive il neuroscienziato Giacomo Rizzolati nel suo Saggio “In te mi specchio – per una scienza dell'empatia”, non aveva ragione Hobbes e l'uomo è un animale empatico, è in grado di immedesimarsi negli stati d'animo degli altri, è un animale sociale. La visione del mondo fino a oggi predominante è, quindi, artefatta, è un progetto di potere, ma che, per adesso, è vincente.

Ma nel prossimo futuro la sfida più difficile da affrontare sarà quella della Tecnica, che è il più potente sistema costruito dall'uomo, a partire dai suoi primi strumenti che sono stati la capacità di usare le mani e il linguaggio. La nostra impreparazione su questa tema è stata posta in maniera clamorosa dall'attuale situazione di socializzazione a distanza attraverso gli strumenti della “Rete globalizzata” e dell'informatica.

Ecco, la pandemia del coronavirus, fra le tante cose che ci sta ricordando, riprendendo anche quanto evidenziato da Elisa Dettori nel suo pezzo “Diario di quarantena” in merito ai problemi degli ultimi e delle persone in difficoltà, accentuati ma dimenticati in questa situazione di quarantena, una è quella che per evitare che l'orizzonte ultimo della storia sia che la lotta di classe l'hanno vinta i ricchi e l'hanno persa gli sconfitti e gli ultimi, dobbiamo avere la capacità di indirizzare il dominio della Tecnica, in particolare, verso la sua potenza massima, al cui interno uno degli scopi è quello di realizzare lo scopo della massima distribuzione dei beni. Questo impone una rivisitazione dell'organizzazione della Società in senso veramente democratico, cooperativo e solidaristico, andando oltre il sistema neoliberista, che, invece, vive grazie alla imposizione di beni scarsi e per pochi, alla legge del massimo profitto e privilegia il settore privato rispetto al pubblico, come, per esempio, nella Sanità e nella Scuola.

Nell'era della Globalizzazione e dell'Informazione, a questo occorre aggiungere il fatto che, come scrive George Lakoff nel suo Saggio “Non pensare all'elefante”, sottovalutiamo l'importanza del linguaggio e la sua capacità, insieme alle condizioni ambientali in cui viviamo, di contribuire nel tempo alla formazione del cosiddetto “senso comune” attraverso i “frame concettuali”, che esistono a livello inconscio nei circuiti neuronali del nostro cervello, definiscono e delimitano la nostra visione del mondo, influenzano le nostre azioni. Il mondo, concepito dai nostri frame e strutturato dalle nostre azioni, attraverso l'esperienza, rafforza e ricrea quei frame in altri individui. Non siamo noi che parliamo un certo linguaggio, ma è il linguaggio che ci parla attraverso le risposte che riceviamo, non riceviamo o riceviamo in modalità antitetiche rispetto alle nostre aspettative da parte dei nostri interlocutori.

Il linguaggio ha fatto di noi degli “animali di relazione”, il linguaggio ci mette in relazione, il nostro cervello si è sviluppato grazie proprio alla nostra capacità di relazionarci attraverso il linguaggio. La relazione crea la nostra identità, senza relazione non saremmo “riconosciuti”, saremmo senza identità.

In particolare, come Elisa Dettori evidenziava nel suo pezzo citato, dobbiamo fare molto di più sul versante della diminuzione delle disuguaglianze, oggi arrivate a un livello non più sostenibile. Al riguardo deve diventare un cavallo di battaglia una delle proposte che avanza Thomas Piketty nel suo Saggio “Il Capitale nel XXI secolo”, che considera, oltre all'accumulo di patrimoni e all'aumento a dismisura dei redditi di quanti hanno già un reddito alto, la causa di maggiore disuguaglianza la differenza di formazione tra le classi più agiate e quelle meno agiate: la “Comunità Umana deve diventare uniformemente competente”.

Piketty, inoltre, per evitare il disastro dei cambiamenti climatici e eliminare le enormi disuguaglianze propone che la crescita media mondiale non superi il 2% nei prossimi decenni.

L'Europa, ancora oggi, ha una politica che rimane all'interno dei confini statuali, quindi, è una politica che, necessariamente, finisce per essere nazionalista, sovranista. Non solo la politica rimane nell'ambito dello Stato sovrano nazionale ma, addirittura, oggi come oggi il sovranismo tende esattamente a creare le condizioni per cui anche i piccoli tentativi, magari grandi nelle intenzioni, alla fine portano a piccoli risultati della sovranazionalità. Si ritorna indietro a domande sul sangue, sul suolo, sulle strutture, insomma, di impostazione politica che sembravano superate. Così si supera anche il tabù del razzismo esplicitato, con tutta la politica dell'odio e dove non c'è pensiero non c'è la decostruzione anche dei miti e non c'è la decostruzione del mito, per esempio, del sangue, perché il diritto del sangue è un mito, il diritto del suolo è un mito: la stessa proposta di legge del precedente Governo sullo “Ius soli” e/o quella attuale sullo “Ius culturae” sono ancora in attesa di approvazione.

Tanti di noi dicono di essersi stancati di “voler cambiare il mondo”, si accontentano di “volerlo migliorare”. Il progetto di una società in cui la “sostenibilità” e il cosiddetto “potere laterale”, di cui parla Jeremy Rifkin, diventano le categorie principali, culturali, sociali ed economiche e, nel futuro prossimo, passato questo uragano che ci ha investiti, occorre un modello nuovo di Società, moderno ed innovativo, che guarda al futuro, decisamente antitetico rispetto a quello oggi praticato dalle forze della conservazione, verticistico, gerarchico, piramidale e per niente democratico.