L’Italia è ai primi posti nella poco invidiabile classifica dei paesi con la più alta tassazione. A fronte di una pressione fiscale sempre più elevata, continua a dilatarsi il debito pubblico che nel 2016 ha superato il 130 per cento del PIL, oltre i 2250 miliardi di euro. Non ci si può consolare con la qualità dei servizi sociali, come avviene ad esempio in Svezia e Danimarca. Quasi la metà della ricchezza prodotta in un anno in Italia va a finanziare le spese correnti della pubblica amministrazione. Non è facile capire il perché la spesa non diminuisce, visti i proclami di razionalizzazione, risparmio, blocco degli stipendi e dei turn over. In realtà, se si taglia da una parte si spreca dall’altra, con appalti, consulenze, affitti, ed altre spese che incidono in modo crescente sui costi della P.A.

A questo c’è da aggiungere che una buona fetta, circa il 30 per cento, della ricchezza prodotta in Italia è in nero, o frutto di attività illecite; è facile capire perché la pressione fiscale sale ancora di più nei confronti di quanti lavora secondo le regole, per sopperire alle tasse evase da chi si nasconde al fisco. In questa immensa voragine fatta di sprechi, clientele e privilegi lo Stato centrale fa la parte del padrone e trattiene ingenti risorse derivanti dalle tasse, che invece sarebbero di competenza regionale.

La Sardegna, già penalizzata dalle politiche predatorie degli anni dal 1960 al 2000, che distribuivano incentivi a pioggia a imprenditori pronti a raccogliere, ma altrettanto rapidi a fuggire non appena il rubinetto delle agevolazioni si chiudeva, subisce un’altra ingiustizia e i soldi pagati dai sardi al fisco vanno a coprire buchi di bilancio statale o a sovvenzionare altre regioni. Chi ha un’attività o un reddito alla luce del sole, subisce una pressione insostenibile dovuta anche agli accertamenti fiscali, a quelli dell’Ispettorato del Lavoro, ai contributi previdenziali individuali e dei dipendenti, ai costi maggiorati di energia ed acqua. Se poi iniziano ad arrivare le cartelle di pagamento di Equitalia si entra in una morsa soffocante da cui difficilmente si riesce ad uscire. Lo sanno perfettamente le migliaia di partite IVA che a più riprese hanno manifestato a Cagliari per protestare contro il fisco per le decine di migliaia di cartelle inviate da Equitalia. Gli artigiani, i commercianti, gli agricoltori, i piccoli industriali, i pastori, stretti tra diffide, ingiunzioni di pagamento, pignoramenti, case ed aziende messe all’asta, fanno fronte comune e denunciano una situazione insostenibile. Il conto è salatissimo: il fisco reclama miliardi di euro alle imprese della Sardegna e il meccanismo di calcolo di oneri, sanzioni ed interessi infligge la mazzata finale, aumentando a dismisura le somme dovute. Dietro queste cifre terribili c’è la sofferenza delle persone e delle famiglie, costrette a far quadrare i conti, mentre intorno continua il balletto degli sprechi e delle inefficienze. I contorni della crisi si allargano ogni giorno che passa, perché non si riescono più a pagare i mutui, gli affitti, le bollette e si cerca di sopravvivere alla meno peggio. Studi di settore, redditometro, accertamenti ai contribuenti minimi, sono strumenti che presuppongono l’evasione sulla base di semplici stime, spesso senza tenere conto della realtà economica in cui le aziende operano.

Sul capo del contribuente l’onere e il costo di dimostrare l’infondatezza dell’accertamento. Dall’altra parte spesso si trova un dirigente dell’amministrazione pubblica, che cerca comunque di portare a casa un risultato. Questo desiderio di incassare, a prescindere dalla fondatezza della richiesta, deriva dall’applicazione dei premi incentivanti previsti dai contratti di lavoro che premiamo chi raggiunge risultati predeterminati dall’Amministrazione. Inoltre è prestigioso per la carriera del dirigente eccellere nella graduatoria di incasso delle sedi. Alcune volte le richieste di pagamento derivano da errate interpretazioni legislative o comunitarie, come è avvenuto per le agevolazioni sul prezzo del latte e sui contratti di formazione e lavoro, per le quali le aziende si sono viste chiedere indietro i benefici economici di cui avevano usufruito, perché la CEE ha affermato che si trattava di aiuti di Stato indebiti.

La situazione che stiamo vivendo è una delle più drammatiche per le sue conseguenze economiche e sociali e possiamo uscirne solo con un forte senso di coesione, facendo udire le nostre istanze con voce forte e determinata. Abbiamo bisogno di recuperare le risorse che ci vengono sottratte, di combattere uniti l’illegalità, di aiutare le giovani generazioni a non dover pagare per debiti che non hanno voluto, di affermare la nostra specificità aprendoci alla creatività e al vento nuovo che viene dalla tradizione che si salda con l’innovazione.

Giorgio Pani

Giorgio Luciano Pani esprime la sua passione per la scrittura affrontando i temi legati all’essenza della natura umana. L’uomo è visto nelle sue peculiarità creative, operose, spirituali.

Uguale interesse lo spinge ad affrontare i temi della Storia, della cultura e delle tradizioni della Sardegna.