Cinquant’anni fa l’assassinio di Bob Kennedy privò la politica americana di una grande figura politica, svaniva la politica della ” Nuova Frontiera” americana. Moriva l’uomo che sognava un mondo migliore“.

Come racconta Giovanni Belfiori “la mezzanotte è scoccata da pochi minuti e nell'Hotel Ambassador di Los Angeles Robert “˜Bobby’ Kennedy ha terminato di parlare ai giornalisti e ai suoi sostenitori: si è buttato nella corsa per le presidenziali del Partito Democratico e la vittoria in California, appena festeggiata, potrebbe lanciarlo diritto verso la Casa Bianca: è pronto a sfidare Richard Nixon. Il suo staff e gli uomini della sicurezza, un agente dell’Fbi e due guardie private, lo guidano verso le cucine per raggiungere un’uscita secondaria dalla quale lasciare l’hotel. Bob è insieme ai reporter e ai teleoperatori di radio, tv e giornali quando sono esplosi contro di lui numerosi colpi di pistola. Le ultime parole di Robert sono: “E gli altri? Come stanno gli altri?”.”

Era l'epoca delle lotte di affrancazione degli afroamericani dall'isolamento e dalla privazione dei diritti civili e sociali, l'epoca delle lotte di Martin Luther King, anch'egli ucciso qualche mese prima, l'epoca delle battaglie di Malcolm X.

Bob era l’uomo molto legato a Martin di Luther King, che difese il primo studente nero che entrò nell’università del Mississippi, che accusò il regime segregazionista del Sudafrica.

Da Procuratore Generale della Giustizia, perseguì con tutte le sue forze la mafia di quel Sam Giancana, guardia del corpo di Al Capone, che divenne capo indiscusso della temuta Chicago Outfit dal 1957 al 1966 e che, con il supporto di Tony Accardo, comandò con crudeltà, astuzia e lungimiranza il traffico di droga, il gioco d'azzardo, la prostituzione e le scommesse clandestine, in particolare, quelle relative al mondo del pugilato. Combattè le infiltrazioni mafiose nel potente Sindacato dei Camionisti, guidato da Jimmy Hoffa.

Era solito citare e parafrasare il drammaturgo George Bernard Shaw: “Ci sono quelli che guardano il mondo così com’è e si chiedono: “Perché?”. Io guardo il mondo immaginando come potrebbe essere e mi chiedo: “Perché no?””.

Il 18 Marzo del 1968, tre mesi prima del suo assassinio, Robert Kennedy pronunciava, presso l'università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava, tra l'altro, l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate: “non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow – Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.”

In quello stesso discorso ricordò l'”irrequietezza dell'anima dell'America”, che la Nazione era sprofondata in un malessere dello spirito, che divideva gli americani gli uni dagli altri a seconda della loro età, delle loro idee e del colore della pelle.

La morte di Bob Kennedy fu una grande perdita per l'America ma anche per la politica progressista a livello mondiale.

Quarant'anni dopo, nel 2008, è arrivato alla guida degli Stati uniti d'America Obama, il Presidente nero che, alle primarie del 2008, con sapienza letteraria, raccontava la storia, emozionante e evocativa di grandi speranze, del riscatto degli schiavi, con il famoso discorso “lo sussurravano gli schiavi e gli abolizionisti mentre tracciavano il sentiero verso la libertà in una delle loro notti più buie: si, possiamo”.

Il 6 giugno scorso, giorno in cui il Governo Conte ha ottenuto il voto di fiducia anche alla Camera dei Deputati e, quindi, è entrato nella pienezza delle sue funzioni, cadevano i cinquant'anni dalla morte di Bob Kennedy.

Ho voluto rendere omaggio a un grande della Storia e ricordare, per contrasto, la concomitanza della nascita del Governo Conte, piena di dimenticanze e improvvisazione, con la ricorrenza dei cinquant'anni dalla morte di Bob Kennedy, per mettere in evidenza che, oggi più che mai, è indispensabile che la Politica, quella con la P maiuscola, riacquisti il suo ruolo di rappresentanza dei cittadini, secondo i dettami della nostra Costituzione.

Ho ricordato Bob Kennedy perchè ritengo che la Politica deve tornare a parlare, oltre che alla parte razionale del cervello dei cittadini anche alla parte emotiva, a quella parte del cervello umano che Rifkin chiama la “coscienza psicologica”, l'”io teatrale”, cioè la capacità dell'uomo, a differenza di tutte le altre specie viventi, di “rappresentarsi i propri sogni, desiderarli, di viverli e goderne nel proprio pensiero”.

La Politica deve imparare a interpretare l'oggi, con tutta la sua complessità, a dare risposte, ma anche a individuare e utilizzare dei Frame, di cui parla Elisa Dettori in un suo pezzo, positivi e che parlino alla parte emotiva del cervello delle persone, con l'obiettivo di suscitare speranze e sogni capaci di sprigionare nuove energie e convinta partecipazione alla vita democratica.

Giampiero Vargiu

Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Societ di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili.